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Berlusconi cambia i conti: fiducia piena senza Fli. Fini: "Lasci o cadrà in aula"

L’opposizione continua a perdere pezzi e il Cavaliere è ormai convinto di superare l’esame della Camera il 14 dicembre: "Sarà un giorno che Gianfranco non dimenticherà". Poi due opzioni: allargamento all’Udc o elezioni anticipate. Ma Fini vuole lo scontro finale: "Silvio lasci o cadrà in aula"

Berlusconi cambia i conti: fiducia piena senza Fli. Fini: "Lasci o cadrà in aula"

RomaConta e gongola Silvio Berlusconi. Sempre più convinto, ragiona in privato, che il 14 dicembre «sarà un giorno che Fini non dimenticherà». Il pallottoliere di Montecitorio, infatti, sembra sia ormai girato a favore del Cavaliere, al punto che nelle riunioni del pomeriggio a Palazzo Grazioli la cosiddetta fiducia «tecnica» viene data per scontata e c’è chi non esclude si possa arrivare anche alla fatidica soglia dei 316. Non solo significherebbe la maggioranza piena alla Camera ma sarebbe anche la certificazione che la pattuglia finiana è «ininfluente». Che, insiste con i suoi il premier, l’ex leader di An ha spaccato la maggioranza e tenuto il governo e il Paese in apnea per un anno senza ottenere alcun risultato. E in effetti se le cose andassero così per il presidente della Camera la sconfitta sarebbe clamorosa, al punto da costringerlo «sottocoperta» per i prossimi mesi. Nei quali Berlusconi tornerebbe a dare le carte. Piano A: forte della doppia fiducia di Senato e Camera, aprire ad un allargamento della maggioranza a Casini (e non è un caso che dal vertice notturno del Pdl sia emersa la disponibilità del premier a rivedere la legge elettorale). L’appello sarebbe diretto anche a Fini, ma solo perché il premier sa benissimo che a quel punto il Fli non potrebbe mai accettare, pena una vera e propria dichiarazione di resa. Fini, insomma, non potrebbe che scegliere di restare all’opposizione, mandando ovviamente in subbuglio le colombe che l’hanno seguito fin qui e rischiando seriamente di perdere pezzi. A quel punto la palla passerebbe all’Udc e su Casini le pressioni arrivano non solo dal Vaticano ma anche da molti colonnelli sul territorio (soprattutto campani e calabresi). Senza dimenticare i sei deputati radicali che se con ogni probabilità non voteranno la fiducia martedì potrebbero comunque essere una sponda importante nel prosieguo della legislatura, soprattutto in una materia tanto delicata come la giustizia.
Piano B: andare avanti con una maggioranza comunque risicata e destinata prima o poi ad andare sotto alla Camera perché è chiaro che ministri e sottosegretari possono essere presenti ai voti di fiducia ma non certo passare la loro giornata sui banchi di Montecitorio. È ovvio che a quel punto il Fli si guarderebbe bene dallo sfiduciare Berlusconi regalandogli elezioni certe e punterebbe a cuocerlo a fuoco lento proprio come fece l’Udc nel 2006-2008, ma l’incidente potrebbe comunque arrivare (Bossi, per dirne una, potrebbe «bocciare» un governo che ha solo qualche voto di fiducia). D’altra parte, non è un caso che la macchina elettorale del Pdl sia comunque in fase di rodaggio, tanto che questo fine settimana si terranno manifestazioni e raccolte firme in tutte le regioni italiane.
Si vedrà. Di certo è che negli ultimi giorni la situazione s’è decisamente ribaltata e la prospettiva di Berlusconi è diventata quella di incassare una doppia fiducia prendendosi la soddisfazione di mettere Fini all’angolo. È per questo che collegandosi telefonicamente con un’iniziativa organizzata a Verona da Aldo Brancher il Cavaliere si dice «sereno sul voto di martedì» perché «non penso che siano molti che vogliano tradire gli elettori». Governo e maggioranza, aggiunge, sono al lavoro per «evitare che si apra una crisi irresponsabile per il governo in un momento così delicato» e «sono sicuro che il 14 avremo la fiducia in entrambe le Camere».

«Noi - dice ancora il premier - abbiamo portato in politica una moralità nuova, con un programma definito, alleanze certe e il nome certo del presidente del Consiglio». Per fortuna, i «tradimenti che erano stati ventilati sembra non siano tali da non consentirci di avere la maggioranza».

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