Roma - L’aria che tira, a via del Plebiscito ma anche ai piani alti di Montecitorio, è che alla fine la fatidica conta si farà. Troppa la distanza, troppa la diffidenza e troppe le incomprensioni personali fra Berlusconi e Fini per cercare non una tregua stabile ma perfino un semplice accordicchio che serva almeno a tirare a campare, evitando al Paese una crisi di governo in un momento in cui scricchiola non solo l’economia globale ma persino l’euro. Da 48 ore, infatti, anche gli ambasciatori più coraggiosi hanno iniziato a tirare i remi in barca, perché se era possibile convincere il Cavaliere a dare un placet a un Berlusconi bis diventa davvero improbabile pensare che possa dire «sì» a una crisi al buio con pesanti condizionamenti sul successivo rimpasto. Con buona pace delle note capacita di mediazioni di Letta, con cui il premier ieri mattina ha avuto un lungo faccia a faccia a Palazzo Chigi. Già, perché Fini - condizionato anche da Casini, che giocando la partita dalle retrovie si può permettere di puntare i piedi - pare piuttosto irremovibile. E forte dei numeri - che al momento sono per la sfiducia- continua a pretendere che Berlusconi gli serva la sua testa su un piatto d’argento aprendo una crisi senza garanzie di reincarico, dicendo sì a un esecutivo radicalmente diverso dall’attuale, rivedendo la destinazione dei pochi fondi disponibili ( a scapito della Lega) e aprendo un tavolo sulla riforma elettorale. A questo punto, ironizzava qualche giorno fa il premier a chi gli consigliava di trattare, facciamo decidere a Fini anche la campagna acquisti del Milan per il prossimo campionato... Muro contro muro, dunque. Con Letta che davanti a sé ha una strada sempre più stretta. Perché a queste condizioni Berlusconi preferisce la conta in Parlamento, nonostante il suo personale pallottoliere faccia al momento segnare alla Camera un non rassicurante 308 (otto voti in meno del fatidico 316). Sconfitta per sconfitta- e questo significherebbero le dimissioni per poi rischiare di non avere il reincarico o il dover subire ministri non graditi - il Cavaliere è infatti deciso a fare chiarezza: si voti e ognuno si assuma le sue responsabilità. Perché è chiaro che, al netto di ragioni e torti, se sarà il Parlamento a sfiduciare il premier Fini vestirà non solo l’abito del «traditore » per moltissimi elettori del centrodestra ma pure quello di un presidente della Camera che ha portato l’Italia alla crisi in un momento delicatissimo. Questione su cui non a caso affonda il Cavaliere davanti ai Popolari di Italia domani dell’ex udc Romano. «Tutto ciò è da irresponsabili - dice in un collegamento telefonico con Napoli- visto che siamo dentro una crisi economica globale. Le agenzie di rating hanno confermato per ora le tre “A” ma hanno legato questa conferma di qualità al fatto che si mantenesse la stabilità del governo». Scampoli di campagna elettorale, dunque. Tanto che Berlusconi torna a parlare delle «conseguenze » di un governo di sinistra: «Immigrati à gogo, reintroduzione dell’Ici e patrimoniale». Con il Cavaliere che spara su Fini, Casini e Rutelli: «Il Terzo polo vuole fare un governo con la sinistra per accontentare le ambizioni personali dei leader delle tre piccole formazioni politiche che lo compongono. Vogliono cambiare la legge elettorale per alzare al 45% il tetto per far scattare il premio di maggioranza e poter essere arbitri». Replica a stretto giro di Fini: «Non è un complotto comunista, Berlusconi perde pezzi». Insomma, ha forse ragione il finiano Della Vedova quando dice che «tutto di deciderà il 15 dicembre », cioè il giorno dopo la fiducia.
E che «molto sarà in mano a Bossi» e alla tenuta dell’asse Pdl-Lega. Non è un caso che Berlusconi abbia frenato con decisione le polemiche sul Quirinale. Nessuno scontro con il Colle - ha detto ai suoi- perché Napolitano non è Scalfaro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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