Roma - La partita è soprattutto giudiziaria perché è ormai chiaro a tutti che le sorti della legislatura sono legate a doppio filo all’inchiesta di Milano e al processo lampo che - vista la richiesta di rito immediato - potrebbe aprirsi a giorni a carico di Berlusconi. Passano quindi in secondo piano la tenuta del governo e così anche il gruppo di responsabili che dovrebbe nascere la prossima settimana per permettere al centrodestra riconquistare la maggioranza nelle commissioni parlamentari della Camera. Berlusconi lo sa bene ma nonostante sia costretto agli straordinari per studiare insieme agli avvocati Ghedini e Longo le 300 pagine di invito a comparire non può permettersi di lasciare spazi sul fronte politico.
Ed è anche questa la ragione che porta il Cavaliere a buttare giù di suo pugno una lunga nota nella quale torna a puntare il dito contro «l’ennesimo teorema per gettare fango» ed «eliminarmi dalla scena politica». I concetti, seppure con toni più netti, sono gli stessi del messaggio audio affidato venerdì sera al sito dei Promotori della libertà. Ma l’obiettivo è quello di tenere alta la tensione e mandare alcuni messaggi chiari: sul fronte dell’inchiesta e su quello della politica. Ecco perché il capo del governo ribadisce che «il tentativo di eliminarmi è illusorio», che «il fango ricadrà su chi utilizza la giustizia come arma politica» e che «la macchinazione non riuscirà a fermarci e distoglierci dal nostro impegno di cambiare il Paese». Riassumendo: non ho nessuna intenzione di mollare, questo - ripete ai suoi - sarà lo scontro finale.
Un segnale sul fronte dell’inchiesta, visto che il gabinetto di guerra che si riunisce nel pomeriggio ad Arcore è convinto che i magistrati stiano facendo pressioni oltre ogni immaginazione sui centinaia di testimoni che sono stati ascoltati. Ma anche su quello politico, perché dopo un giorno di attesa ad aspettare che si posassero le ceneri, sia dal Terzo polo che dal Pd sono iniziati ad arrivare segnali non rassicuranti. Lo dice in chiaro Bersani: «Dire che Berlusconi deve andarsene non è sinonimo di elezioni anticipate». Con Fini ad elogiare il lavoro della magistratura che ha reso l’Italia «un Paese più credibile» e Casini ad invitare il premier a presentarsi dai pm. La sintesi, è il senso dei ragionamenti che il Cavaliere fa in queste ore, è bella e fatta: stanno tornando alla carica con il governo tecnico. Eventualità che il premier continua ad escludere categoricamente. Le elezioni, è ormai un dato acquisito, non le vuole neanche lui, conscio che il risultato al Senato sarebbe comunque appeso a un filo e in più ora c’è anche da tenere conto dell’incognita Ruby. È scontato, confida ai suoi, che di qui ai prossimi giorni «saremo sommersi da una valanga di intercettazioni che hanno il solo scopo di sputtanarmi».
Detto questo, se davvero ripartirà la macchina che almeno fino a dicembre ha lavorato sopra e sottotraccia per arrivare ad un governo di transizione, il Cavaliere è pronto a scendere in campo. Non per sua scelta, ma per costrizione. Un esecutivo tecnico, infatti, significherebbe non solo non sedere più a Palazzo Chigi ma anche non avere la possibilità di chiedere agli italiani di «giudicare» con il voto quanto sta accadendo in queste ore.
Ma il messaggio è destinato anche alla maggioranza, a chi in questi ultimi due giorni è tornato a disegnare scenari apocalittici e predicare le elezioni anticipate. Senza successo, almeno per il momento. Perché nonostante un certa cautela della Lega l’asse con Bossi resta saldissimo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.