Milano - Torna a essere apparecchiata la cena del lunedì. Dopo l’ultimatum di Umberto Bossi domenica in piazza Duomo, ieri l’invito di Silvio Berlusconi per tornare a parlare di politica. Perché il progetto dell’ex premier è ancora una volta di ripartire da Milano. Lì dove le granitiche certezze (almeno elettorali) dell’allora solida alleanza di centrodestra avevano cominciate a scricchiolare sotto i colpi dell’avvocato ultrarosso Giuliano Pisapia che sconfisse Letizia Moratti. Ma anche la città che vide nascere il partito unico col «discorso del predellino» in piazza san Babila, dove Berlusconi lanciò il Pdl fondendo Forza Italia e Alleanza nazionale. Sono passati anni e invece sembrano decenni. Ed è ancora Milano che chiede a Berlusconi di essere protagonista di un appuntamento che detti la linea del rilancio. A metà febbraio, annuncia il coordinatore della Lombardia Mario Mantovani, pochi giorni prima del congresso cittadino del 25, messo in calendario ieri dai dirigenti del Pdl per eleggere i nuovi vertici.
Ma prima Berlusconi si prepara a vedere il governatore Roberto Formigoni. In agenda il rimpasto di giunta già annunciato dal governatore per dare un chiaro segnale di discontinuità (e anche in questo caso di rilancio) dopo le vicende non solo giudiziarie che stanno squassando la Regione. Prima gli arresti degli ex assessori pdl Franco Nicoli Cristiani e Massimo Ponzoni, domenica l’ultimatum di Bossi a Berlusconi con l’invito a staccare la spina al governo Monti, pena la rinuncia della Lega ad appoggiare Formigoni al termine di una grande manifestazione convocata dalla Lega a Milano per «far tremare il governo dei banchieri».
E che, invece, finisce per far tremare il centrodestra. «Un’uscita, quella di Bossi, che nessuno dei suoi nemmeno immaginava», raccontava ieri uno stretto collaboratore di Formigoni subito dopo avergli parlato. «Non sono preoccupato - assicura invece il governatore - Però guardo con preoccupazione a quello che è successo».
E il senso di una frase che anche a lui risulta «inevitabilmente contraddittoria» è che «non dobbiamo dare segnali sbagliati, altrimenti il nostro elettorato si stanca, si preoccupa». Perché a inquietare è più la prospettiva che l’immediato. Ieri, infatti, capigruppo e assessori di Lega e Pdl si sono regolarmente incontrati per fissare il calendario della settimana.
Tutto come se niente fosse. «Quando si parla in piazza è ovvio usare espressioni forti - cerca di spiegare Formigoni - Soprattutto se si tratta della Lega. Siamo abituati». Ma a colpire è soprattutto quell’anatema lanciato a Berlusconi. «A Bossi ricordo che il Pdl sostiene il governo Monti per un gesto di responsabilità, viste le difficili condizioni economiche». Una scelta strategica. «Anche perché - ricorda Formigoni - proprio così si è dimostrato come lo spread scenda a fatica e che dunque i problemi erano strutturali e non certo legati al governo Berlusconi». Ma in Regione nessuno pensa che all’irreparabile.
«La sfiducia della Lega? Non esiste - si lascia andare un pezzo grosso del Pdl - È chiaro che se si rompesse l’alleanza, le conseguenze coinvolgerebbero tutto il Nord». Chiaro riferimento alle giunte leghiste di Veneto e Piemonte. «E questo - l’allarme di Formigoni - significherebbe consegnare una parte d’Italia alla sinistra. Il nostro dovere è tenere unito il centrodestra, dare ai nostri elettori la possibilità di votare una coalizione che difenda valori e interessi dei moderati. Pensiamo a imprese piccole e medie, artigianato, famiglia. Non possiamo tradirli. E alla Lega dico che separati non si vince».
Una frattura da ricomporre con segnali forti.
Che Formigoni ritiene di aver dato stabilendo per assessori e sottosegretari l’incompatibilità tra impegno istituzionale e attività professionale. E mettendo mano a un rimpasto di giunta per «licenziare» assessori magari comparsi nei fascicoli della magistratura. Inserendo donne al loro posto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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