Roma - Che questa campagna elettorale rischi davvero di essere diversa da quelle degli ultimi quindici anni lo si intuisce quando la registrazione di Porta a Porta arriva alla prima pausa pubblicitaria. Berlusconi è negli studi di via Teulada da quasi un’ora e mezzo e dalla sua bocca non è uscita una volta che fosse una la parola «comunisti». Né tantomeno l’assioma del «Pci-Pds-Ds» che tanto amava usare fino a qualche anno fa durante comizi e tribune. E pure quando nel secondo blocco della trasmissione è uno dei giornalisti presenti in studio a evocare la vecchia immagine, il Cavaliere si guarda bene dall’affondare il colpo. «Questo io non l’ho detto», chiosa con un sorriso. Non perché sul punto abbia cambiato opinione («il comunismo è l’impresa più disumana della storia con oltre cento milioni di morti», risponde a chi lo sollecita sulla questione), ma perché lui più di tutti - forte anche dei sondaggi e della volontà di assestare il più possibile al centro la barra del neonato Pdl - vuole che questa campagna elettorale segni una svolta nei rapporti tra gli schieramenti. Tanto da assicurare che «se c’è qualcuno che vuole mettere fine alla guerra civile quello è Berlusconi».
Una campagna elettorale che però non ha ancora visto sciogliersi il nodo dell’Udc. Su cui il Cavaliere continua a tenere la posizione: «I nostri elettori ci vogliono uniti e non capiscono i personalismi». E quando Vespa ventila la possibilità di fare entrare i centristi nella coalizione con il loro simbolo la replica dell’ex premier è eloquente: «Si tornerebbe alla situazione di una volta». E qui sta il punto. Perché Berlusconi sembra non avere alcuna intenzione di ricominciare con il balletto della discontinuità che, non a caso, si cura di ricordare. «Sei mesi prima del voto - dice - per bocca di Follini l’Udc disse che Berlusconi non era un buon candidato premier». Uno dei «principali motivi» - confidava in mattinata a un deputato azzurro - della «sconfitta elettorale». E, dunque, «è impensabile che ora, in piena campagna elettorale, pur avendo firmato per la mia leadership qualcuno vada a dire che non sono più il candidato premier». Già, perché nei giorni della crisi sarebbe stata proprio questa uscita del segretario centrista Cesa la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Così, sul punto il Cavaliere pare irremovibile: «Anche noi siamo molto legati al nostro marchio e An lo è al suo. Entrambi abbiamo rinunciato, chiediamo la stessa generosità a Casini». E ancora: «Non vogliamo liste collegate perché il programma di governo sarebbe a rischio». Insomma, «se Casini si dovesse presentare da solo non ci sarebbe garanzia di coesione e si tornerebbe alla scorsa legislatura, quando di fronte a svolte di modernità i partiti, spesso il suo, si sono messi di traverso». Mentre l’ex premier si dice pronto a presentare un programma chiaro (con «proposte di legge da sottoscrivere» prima delle elezioni e «approvare nei primi Consigli dei ministri») e un governo di dodici ministri. E la lista sarà resa nota «prima del voto», aggiunge auspicando che Stanca «possa tornare a occuparsi della digitalizzazione della pubblica amministrazione». E, dice riferendosi a chi festeggiò la caduta di Prodi con mortadella e champagne in aula (Strano e Gramazio) e allo sputo di Barbato, «saremo severi nella scelta dei candidati».
Sul fronte alleanze, anche l’iniziativa di Ferrara - che presenterà una lista anti-aborto - non lo convince affatto. «Credo che questo tema - spiega - debba rimanere fuori dalla competizione elettorale. Ma Giuliano è stato rapito da questa missione contro il mio parere». D’altra parte, aggiunge escludendo apparentamenti con La Destra di Storace, «lavoro giorno e notte per cercare di concentrare 18 liste in una». Poi un appello agli elettori: «Se si vuole la governabilità non si dovrebbero votare i piccoli partiti». E dunque: o Popolo della libertà o Partito democratico.
A lungo, poi, si parla del potere d’acquisto dei salari. E il Cavaliere fa sua la proposta Sarkozy: detassare gli straordinari, la tredicesima e la quattordicesima per «dare una mano ai lavoratori dipendenti». E questo è «uno degli strumenti per intervenire a favore delle famiglie». Ma - aggiunge - si può anche «intervenire a livello di incentivi aziendali e di incrementi di produzione». Mentre l’abolizione dell’Ici sulla prima casa «si può decidere già nel primo Consiglio dei ministri». Sul fronte evasione fiscale, invece, «la lotta va portata avanti» ma mettendo fine all’atmosfera creata da Prodi: «Ha frenato consumi, produzione e investimenti».
Poi torna a sedersi sulla stessa scrivania dove nel 2001 stipulò il contratto con gli italiani.
«Prometto - dice - che ridurrò le tasse». E a chi gli ricorda che questa è la sua quinta candidatura alla presidenza del Consiglio replica con un sorriso eloquente: «Pare che Silvio Berlusconi sia ancora indispensabile. E sono sicuro di vincere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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