da Milano
Più che il salvatore del capitalismo, Ben Bernanke sta diventando lincubo dei mercati finanziari. Da qualche giorno, il presidente della Federal Reserve dice ciò che le Borse non vorrebbero sentire: dallavviso, la scorsa settimana, che alcune banche falliranno, fino alle parole con cui ieri ha spiegato di mettere in conto «unulteriore discesa dei prezzi delle case» e invitato gli istituti di credito a procedere «a nuove svalutazioni sui mutui», anche per «aiutare i debitori» ed evitare di allungare la lunga catena di pignoramenti.
Le ultime esternazioni dellex professore di Princeton non sono piaciute a Wall Street, dove sul Dow Jones (meno 0,37%) e sul Nasdaq (quasi invariato: più 0,07%) hanno finito per pesare anche le stime di Merrill Lynch relative al calo di utili e alle svalutazioni per 15 miliardi di dollari che Citigroup dovrebbe accusare nel primo trimestre; al resto ha provveduto il deludente outlook di un colosso come Intel. LEuropa, già male intonata durante la mattina, ha così accentuato nel pomeriggio le perdite, comprese a fine seduta tra lo 0,87% di Londra e il 2,17% di Francoforte, con Milano arretrata dell1,54%. I listini del Vecchio continente sono ora ai minimi da sei settimane: uno scivolamento che riflette non solo i timori di recessione negli Stati Uniti, ma anche la debolezza del ciclo economico europeo, peraltro poco brillante nel quarto trimestre 2007, come certificato ieri da Eurostat. Leurozona è cresciuta infatti dello 0,4% tra ottobre e dicembre e del 2,6% nellintero 2007.
Gli investitori guardano inoltre con preoccupazione al probabile mantenimento dello status quo da parte della Bce, che giovedì prossimo dovrebbe lasciare invariati i tassi al 4%. Limmobilismo del presidente Trichet, alle prese con uninflazione al 3%, è destinato a mettere altra benzina nel motore delleuro, rimasto ieri a ridosso del record assoluto (1,5249 dollari contro gli 1,5275 toccati lunedì scorso), la cui forza è fonte di crescente inquietudine da parte dei ministri finanziari europei. «Dopo le parole, i fatti»: è questo ciò che lEcofin ha chiesto ieri agli Stati Uniti. Washington, finora, ha solo ribadito un generico interesse nei confronti del dollaro forte, dando tuttavia limpressione di assecondare - se non proprio di orchestrare - la svalutazione del biglietto verde.
I ministri economici Ue hanno per ora scartato lidea di un intervento coordinato delle banche centrali, sulla falsariga di quanto venne fatto nel 2000, mentre il presidente dellEurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha evitato di prender posizione su quale sia un rapporto di cambio tollerabile tra euro e dollaro («non sarebbe saggio offrire un target ai mercati finanziari», ha spiegato).
Ma il nodo valutario è grosso, e rischia tra laltro di ingarbugliarsi ancor di più il prossimo 18 marzo, quando Bernanke deciderà di tagliare ancora il costo del denaro, verosimilmente di mezzo punto. È quanto ha fatto ieri la Bank of Canada, che solitamente fa da «apripista» alla Fed.
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