Bernanke lancia l'allarme sulla crisi in Grecia: "E' una minaccia per tutta economia mondiale"

Il presidente della Fed lancia un segnale di allarme all'Europa. E rivede al ribasso le stime 2011 (2,7-2,9%) mentre alza quelle sull'inflazione. Chiesti al Congresso  interventi urgenti per frenare il debito pubblico americano

Bernanke lancia l'allarme sulla crisi in Grecia: 
"E' una minaccia per tutta economia mondiale"

Se l’economia Usa ha perso slancio, se le prospettive si fanno incerte e poco favorevoli per riassorbire l’esercito dei disoccupati, la colpa è della Grecia bancarottiera e del terremoto in Giappone. Per quanto un po’ sommaria, questa analisi congiunturale riassume gli umori dell’opinione pubblica americana, sempre meno convinta della virtù taumaturgiche di Obama. Difficile dire da quale parte stia Ben Bernanke, ma di sicuro anche il capo della Federal Reserve ha qualche motivo per essere inquieto se guarda verso le sponde del Mediterraneo.
Oltre ai nodi interni, legati a una crescita inferiore alle attese, la Fed non può trascurare l’evoluzione della crisi greca, una variabile probabilmente non messa in conto fino a qualche tempo fa e che invece ora costituisce «una minaccia finanziaria globale e all’unità politica europea», ha ammesso ieri Bernanke. Convinto che un default disordinato potrebbe «intorbidire i mercati finanziari» e «incidere sugli Usa» malgrado nei caveau delle banche Usa siano depositati pochi sirtaki-bond. La situazione è «difficile», al punto da essere stata al centro della discussione dei governatori della banca centrale martedì e anche ieri. La Fed è fuori dai negoziati che decidono le sorti di Atene, ma «siamo molto bene informati, ci teniamo in stretto contatto con gli europei. Capiscono l’importanza incredibile di risolvere la crisi greca», ha detto Bernanke a poche ore di distanza dalla prima presa di contatto, avvenuta nel pomeriggio di ieri, fra i governi di Francia e Germania e alcuni vertici delle banche e delle compagnie di assicurazioni esposte nei confronti di Atene e chiamate ad aderire, su base volontaria, al secondo piano di salvataggio. Le banche italiane, la cui esposizione è assai modesta (tre miliardi), hanno ieri fatto sapere di essere disponibili a rifinanziare il debito ellenico. Prima, però (martedì 28 giugno o, al massimo, il giorno dopo), il gruppo parlamentare del Pasok sarà chiamato ad approvare le nuove misure fiscali necessarie per il 2011 e che verranno inserite nel testo della legge per l’attuazione del programma a medio termine. In caso di bocciatura, rischia di saltare il versamento della quinta tranche di aiuti da 12 miliardi di euro.
Quanto agli Usa, le nuove stime diffuse ieri dalla Fed mostrano un quadro non esaltante. Il rallentamento economico è certificato da una minor crescita prevista per quest’anno, con il Pil destinato a espandersi tra il 2,7 e il 2,9%, meno quindi rispetto al precedente 3,1-3,3%. E con questi ritmi di sviluppo, il tasso di disoccupazione si attesterà fra l’8,6 e l’8,9% (8,4-8,7%). Livelli dunque ancora troppo alti, facile innesco di ulteriore malcontento.
Nella conferenza stampa che ha seguito il direttivo dell’istituto di Washington, Bernanke ha però parlato di un appannamento «temporaneo», legato ad alcuni fattori disturbanti come per esempio gli alti prezzi del cibo e dell’energia. Anche se queste tensioni dovessero allentarsi, l’inflazione si collocherà a fine anno in una forbice compresa tra il 2,3 e il 2,5%, contro la stima precedente di 2,1-2,8%. Può essere un problema secondario per la Fed, la cui missione non è (come nel caso della Bce) la stabilità dei prezzi, ma resta il fatto che la perdita di potere d’acquisto in una nazione con così tanta gente a spasso (circa 15 milioni) non è una buona cosa. Bernanke si è lamentato della lentezza «frustrante» con cui continuerà a calare il numero degli americani in cerca di un lavoro, ma a parte lo strumento dei tassi rimasti anche ieri inchiodati tra lo 0 e lo 0,25% (e su quel livello rimarranno ancora per un periodo prolungato, ovvero «almeno 2 o 3 riunioni del Fomc»), la banca centrale Usa non sembra intenzionata a mettere in campo ulteriori misure di sostegno alla crescita. La Fed ha anzi confermato la conclusione a fine mese del programma di acquisto di bond per 600 miliardi di dollari, che ha «contribuito a combattere il rischio di deflazione». Le attuali politiche di reinvestimento dei proventi derivanti dai bond che arrivano a maturazione, pari a 2.832 miliardi di dollari tra security e prestiti, saranno tuttavia mantenute.
L’intenzione di non irrorare il mercato di altra liquidità potrebbe essere correlata alla volontà di non alimentare ulteriormente la spirale del debito americano, già posto sotto osservazione da Moody’s e Fitch per un possibile declassamento. È «molto urgente» affrontare il problema del deficit e del debito, ha detto Bernanke.

La ricetta? Non certo immediati tagli fiscali e massicce riduzioni della spesa, che «avrebbero probabilmente un impatto negativo sulla creazione di posti di lavoro»; il Congresso «dovrebbe invece focalizzarsi su tagli della spesa di lungo termine».

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