Economia

Bernanke manda al tappeto le Borse

da Milano

Qualche pillola velenosa l’aveva già dispensata un paio di giorni fa, certificando lo stato pre-comatoso dell’economia Usa. Nella seconda audizione davanti al Congresso, Ben Bernanke ha ieri calcato ancor di più la mano, descrivendo uno scenario da bancarotta per alcune banche, denunciando le spine della crisi del settore immobiliare e ammettendo che per la Federal Reserve gestire l’attuale fase congiunturale è una missione ancor più complicata di quella toccata ad Alan Greenspan nel 2001. La risposta dei mercati, ai quali non basta più neppure la certezza dell’imminente taglio dei tassi, è stata immediata: giù l’Europa, fiaccata da ribassi compresi tra l’1,22% di Milano e il 2% circa di Francoforte; e giù Wall Street, dove il Dow Jones è sceso dello 0,88% e il Nasdaq dello 0,94%. Non migliore la situazione sul fronte valutario, dove l’euro ha incasellato l’ennesimo record arrampicandosi fino a 1,5226 dollari, poco più di 1.200 delle vecchie lire (vedi grafico).
Come acqua sul marmo sono scivolate le dichiarazioni di George W. Bush «a favore di un dollaro forte» come strumento di sostegno alla crescita. Ma è proprio grazie alla leva esercitata dal mini-dollaro sulla disastrata bilancia commerciale, che gli Stati Uniti hanno evitato di piombare nella recessione già nel quarto trimestre 2007. Il dato ufficiale, diffuso ieri, parla di uno sviluppo del Pil pari a un modesto 0,6% (nel terzo era stato del 4,9%); un valore positivo che però si ribalta in un meno 0,3% senza il miglioramento del disavanzo tra import ed export (meno 506 miliardi di dollari su base annua).
In ogni caso, la revisione al rialzo delle componenti dell’inflazione sembra confermare i timori che l’America sia a vicina alla stagflazione. Un’ipotesi non condivisa da Bernanke: «Non vedo stagflazione - ha detto - . Non penso siamo vicini alla situazione degli anni '70. Vedo un'inflazione in calo». Parole impegnative, con il petrolio proiettato oltre i 100 dollari. Il numero uno della Fed non nasconde infatti le preoccupazioni legate alle attuali pressioni inflazionistiche, «superiori a quelle del 2001», quando al decennio aureo subentrò un periodo di crescita negativa. Rispetto ad allora, ha ammonito l’ex professore di Princeton, «ci troviamo in una posizione peggiore nel rispondere alla crisi». Le difficoltà del settore del mattone, per esempio, sono «un problema continuo» anche per il potenziale impatto sui consumi privati derivanti dal calo dei prezzi delle case. Poi, ci sono le banche: «Vi saranno probabilmente dei fallimenti di istituti, ma non vedo grossi problemi per i grandi gruppi», solidi patrimonialmente. Il sistema del credito è comunque invitato a rafforzarsi con «la raccolta di nuovi capitali».
Bernanke è quindi tornato a ribadire che la Fed agirà tempestivamente per sostenere l’economia (i tassi saranno tagliati di un altro mezzo punto, al 2,50%, il prossimo 18 marzo); ha ricordato come il debito del governo Usa sia «ancora l’asset più desiderato del mondo» e che dunque non è in atto «una fuga dal dollaro»; e si è mostrato ottimista sull’efficacia del piano di stimoli fiscali da 168 miliardi varato nelle scorse settimane dal Congresso.

A tal proposito, Bush ha assicurato che a maggio saranno inviati gli assegni alle famiglie, ma ha escluso la possibilità di un nuovo pacchetto di sgravi per aiutare ulteriormente i cittadini alla prese con i rincari di mutui e carburanti.

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