Bernanke rischia: anche i democratici lo scaricano

Far la conta degli amici rimasti è un esercizio sempre più complicato per Ben Bernanke. Perfino un po’ inquietante. Fino a qualche settimana fa, quando Time lo eleggeva «Man of the year», la riconferma del successore di Alan Greenspan al vertice della Federal Reserve sembrava scontatissima. Ora sta diventando un rompicampo degno del cubo di Rubick. Bruciato da tempo il consenso tra i senatori repubblicani che pure ne avevano sponsorizzato la nomina, l’ex professore di Princeton ha perso pezzi d’appoggio anche tra i democratici, il cui malumore sta montando dopo la disfatta, inaspettata e dunque ancor più bruciante, subita in Massachussets.
A Bernanke servono 60 voti (sui 100 complessivi) per evitare di consegnare le chiavi del caveau più importante del mondo al suo attuale vice, Donald Kohn. Il Wall Street Journal, tra i Fed watchers più autorevoli, scommette su una vittoria di misura di Ben. L’esito sembra però più materia da bookmaker, nonostante il numero uno della banca centrale Usa abbia incassato ieri da Barack Obama l’apprezzamento per il lavoro svolto. «Il presidente - ha detto il portavoce della Casa Bianca, Bill Burton - ha grande fiducia in quello che Bernanke ha fatto per riportare la nostra economia fuori dal baratro. Il presidente - ha aggiunto - pensa che sia la persona giusta per quel lavoro e ritiene che sarà confermato».
Diversa è però l’opinione dell’ala dura dei democratici. Il “dossier Bernanke“ doveva essere esaminato ieri, ma il voto è slittato alla prossima settimana, probabilmente a lunedì, quando mancherà meno di una settimana alla scadenza del mandato presidenziale prevista per il 31 gennaio. Resta dunque un week-end per cercare di ricompattare le fila. Compito non facile. Anche se il presidente della commissione bancaria del Senato, Frank Dodd, ha detto che la mancata riconferma di Bernanke provocherebbe «un collasso economico», alcuni senatori stanno affilando le armi. Dal faccione da american boy di Scott Brown, l’uomo che in Massachussets ha espugnato un feudo storicamente democratico, hanno tratto la prova che la politica economica e monetaria è stata un fallimento: poco sensibile ai bisogni di Main Street, troppo occupata a salvare Wall Street. Tra i “ribelli“ c’è Bernie Sanders: «Questo voto - ha spiegato al Wall Street Journal - potrebbe forse essere un simbolo dell’attuale indignazione contro Wall Street e per vedere se ci muoviamo o meno in una nuova direzione e con una nuova leadership». E il capogruppo democratico al Senato, Harry Reid, ha esortato Bernanke ad aver più coraggio esponendosi con le banche affinchè prestino denaro alle piccole imprese e non caccino le famiglie dalle case pignorate.
A Bernanke era già stata imputata la sottovalutazione iniziale della crisi, da cui era derivato il tardivo taglio dei tassi, e la contiguità col mondo degli affari. Ma ora la faccenda appare un po’ più complicata. Pur avendo incassato la fiducia di Obama, è un fatto che la Casa Bianca si sia rivolta all’82enne Paul Volcker, transitato al vertice della Fed all’epoca di Carter e Reagan (1979-1987), e non a lui quando si è deciso di mettere il guinzaglio a banche troppo grandi per fallire. Un piano che, tra l’altro, avrebbe trovato opposizione nel ministro del Tesoro, Tim Geithner, anch’egli finito sotto accusa per l’eccessiva vicinanza con le banche.

Intanto, il Finacial stability board accoglie «con favore le proposte avanzate dal presidente Usa Barak Obama per ridurre i rischi derivanti dalle dimensioni e dalle attività dei grandi istituti bancari». È quanto si legge in una nota diffusa dall’organismo presieduto dal governatore di Bankitalia Mario Draghi

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