Bersani fa il paladino sui tetti poi si tiene i soldi dei precari

RomaUn giorno sui tetti con i ricercatori che protestano, sigaro in bocca e a favore di telecamere. L’altro in Aula, a far finta di non esserci.
Pier Luigi Bersani con la sua solidarietà a geometria variabile riassume bene, da bravo segretario, le contraddizioni del suo partito. Ieri a Montecitorio il Pd si è spaccato su un emendamento proposto dall’Api, contribuendo in maniera decisiva a farlo bocciare, nonostante l’appoggio dei finiani. Il testo, proposto da Marco Calgaro e Bruno Tabacci di Alleanza per l’Italia, intendeva reperire i fondi per finanziare contratti a tempo indeterminato per ricercatori sottraendo 20 milioni di euro dal finanziamento pubblico ai partiti.
Il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, invita a votare sì. Dopo i fiumi di parole e le sfilate da antennisti dei giorni scorsi sembra una scelta scontata. Ma non lo è. Perché prende la parola Ugo Sposetti, tesoriere degli ex Ds, uno che sostiene da sempre che i soldi pubblici ai partiti dovrebbero aumentare, non certo diminuire. Sposetti ha in mente, tra l’altro, che le casse dei Democratici di sinistra che lui amministra hanno ancora diritto ai rimborsi elettorali fino al 2011. E così, anche se nel suo intervento sostiene la necessità di una «grande battaglia» a favore della ricerca, nello specifico parla di «norma indecente», annuncia il suo voto contrario e invita a imitarlo «tutti i gruppi di opposizione».
L’uscita di Sposetti spacca il fronte del Pd, e gli effetti si riflettono sul voto. «Obbediscono» tra gli altri all’indicazione di Franceschini Walter Veltroni e i veltroniani, i prodiani, Enrico Letta, Arturo Parisi, Roberto Giachetti e, ovviamente, tutti i radicali. I sì all’emendamento a favore dei ricercatori, però, si fermano quota 143. Massimo D’Alema si astiene, e come lui fanno Piero Fassino, l’ex capogruppo Antonello Soro, il responsabile giustizia Andrea Orlando e Maurizio Migliavacca. Per la cronaca, si astiene pure l’ex «candidata ricercatrice» Marianna Madia: i tempi cambiano. Oltre alle astensioni, c’è anche chi segue Sposetti e vota no: Livia Turco, Sergio D’Antoni, Gianni Cuperlo, Giovanni Lolli e, inevitabilmente, l’altro tesoriere (del Pd) Antonio Misiani. Finita? Macché. Visto il tema dell’emendamento, in molti cercano con lo sguardo Bersani. Il segretario reduce dalle gite sui tetti è al suo posto: tentenna, ma resta immobile e sceglie la terza via: non vota. C’è ma risulta assente, come Gianclaudio Bressa, il vice di Franceschini, e l’ex ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni.
Alla fine si contano 42 piddini tra astenuti e contrari, che diventano 64 (più del 30 per cento del totale dei deputati democratici) sommando anche gli assenti «alla Bersani».
L’emendamento affonda. Franceschini cerca di ridimensionare il patatrac, negando la spaccatura interna al gruppo. Per il capogruppo, i deputati del Pd che hanno dato ascolto all’«intervento a titolo personale» di Sposetti «non sono stati determinanti nell’esito della votazione». Tanto che l’ex segretario ritiene «non corretto» parlare di spaccatura.
Peccato che l’unico punto su cui si può essere d’accordo con l’acrobatico ma fragile teorema difensivo del capogruppo del Pd alla Camera sia sull’esito del voto, influenzato anche dai «no» a sorpresa di qualche finiano. Ma la spaccatura c’è tutta, come anche la scelta ambigua del segretario Bersani.

L’emendamento di Alleanza per l’Italia alla fine è stato bocciato con 305 no, 190 sì e 20 astenuti. Con i 64 voti non favorevoli del Pd - tra contrari, astensioni e «assenze» strategiche - la gara sarebbe stata più serrata.

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