La tenuta del Pd? «Dipende tutta da Monti»,spiegano da ogni ala del partito di ex opposizione. Di qui a quattro giorni, il premier ha promesso di mettere sul tavolo il suo pacchetto di misure anti crisi, ed è comprensibile che nei partiti che sostengono l’esecutivo la tensione stia salendo. «Monti non resti sordo alle nostre idee», si appella Bersani. «Ma se il premier non farà errori e troverà un equilibrio - spiega Francesco Boccia - toccando le pensioni ma controbilanciando con una patrimoniale severa e la lotta all’evasione, anche i più restii non potranno mettersi di traverso».
Anche perché, ripete Bersani, «qualche rospo sappiamo di doverlo ingoiare», nel sostenere il governo tecnico. Intanto, però, la tensione che serpeggia nel partito è tale che si sta pensando di rinviare l’assemblea nazionale fissata per il 16 dicembre. Una convocazione obbligata a termini di statuto, ma che finirebbe per cadere in un momento troppo delicato: «Non avevamo previsto che l’assemblea avrebbe coinciso con il dibattito sulla manovra», osserva il franceschiniano Antonello Giacomelli. Un dibattito che potrebbe infiammarsi a sinistra se, ad esempio, gli interventi sulle pensioni fossero pesanti e quelli sulla ricchezza più deboli. In quel caso la Cgil scenderebbe in guerra, e inevitabilmente si trascinerebbe dietro un pezzo di Pd, quell’ala «sinistra» che con l’ex ministro Damiano (che avverte: «Non regaliamo la battaglia in difesa delle pensioni alla Lega, o la pagheremo cara in voti ») o il responsabile economico Fassina fa suo lo slogan di Susanna Camusso: «Il tetto dei 40 anni non si tocca».
Bersani e i suoi hanno bisogno di tempo per far digerire alla propria base l’appoggio del Pd a riforme considerate «di destra» e che- se fatte da Berlusconi- lo avrebbero visto insorgere in armi. Dunque si sta pensando di utilizzare un’utile coincidenza: il 16 dicembre c’è uno sciopero nazionale dei trasporti, la scusa ideale per rinviare l’assemblea a tempi migliori, visto che le centinaia di delegati avrebbero grosse difficoltà a raggiungere Roma, ed evitare così che le tensioni esplodano in una sede pubblica.
Intanto a Bersani arrivano le bacchettate di Casini (rivolte in egual misura anche al Pdl): «Abbiamo chiamato Monti non per mettergli veti e controveti o per disseminargli la strada di ostacoli». In verità, però, nel Pd la consapevolezza che il «rospo» andrà ingoiato è sempre più vasta: «Tutti mettono i propri paletti, la sinistra da una parte e gli iper-riformisti alla Ichino dall’altra.Ma tutti sanno che le mani nelle pensioni andranno messe», sottolinea il responsabile giustizia del partito, Andrea Orlando. E ieri pomeriggio, nel seminario interno sulle pensioni, le posizioni dell’una e dell’altra ala erano meno divergenti. Persino il tonitruante Fassina era sottotono, richiamato all’ordine da Bersani nei giorni scorsi.
Il segretario per ora si è calato nel ruolo di mediatore tra le diverse anime del partito: lui e il capogruppo Franceschini come asse centrale di equilibrio tra la sinistra filo-Cgil e filo-Vendola e la destra dei Monti boys di area lettiana e veltroniana. Ma i giovani leoni bersaniani scalpitano, vogliono un rafforzamento della segreteria indebolita e dalla nascita del governo Monti, che ha distrutto l’agenda bersaniana (primarie,elezioni anticipate nel 2012 e candidatura a premier in alleanza con Idv e Sel) e un piano B per non restare legati mani e piedi alle sorti dell’esecutivo tecnico.
E spingono per un congresso subito dopo le amministrative, che nelle previsioni dovrebbero dare al Pd un successo. «Servirà un momento di riflessione comune in primavera», conferma Orlando. Bersani per ora dice no, ma fino a quando?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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