Bersani nel mirino di Franceschini

Da Cortona, provincia di Arezzo, ecco arrivare chiari segnali di tensioni rosse, segnali preoccupati dai generali del Pd. Pacati maestri del dialogo che a suon di appelli, frasi di solidarietà e distinguo, se le sono date di santa ragione. La tre giorni toscana della minoranza democratica è finita un po’ così, con Dario Franceschini che per finire, a nome dei «suoi», ha chiesto al segretario Pier Luigi Bersani di «tenere il partito democratico dentro la sua missione originaria» per cui è stato fondato. Spaccature in vista? Inquietudini sicuramente. «Nessuno vuole andarsene - ha aggiunto -, ma c’è un disagio che Bersani sbaglierebbe a sottovalutare». E ancora: «Siamo a un bivio - continua -: o ci chiudiamo in un fortino, territoriale, identitario, felici di stare solo con quelli che la pensano come noi, un fortino organizzativo, basato su un unico blocco sociale, un fortino sulle alleanze, oppure riprendiamo la sfida del Pd con tre missioni: un partito plurale e aperto, con vocazione maggioritaria». Come a dire «o si cambia o si muore»; per questo, insiste l’area democratica del partito, in questa fase il segretario «ha il dovere di fare sintesi».

Fasi travagliate, intese da ritrovare: durante i lavori Piero Fassino ha fatto ancora una volta il «pontiere» («dobbiamo essere forti nelle nostre convinzioni», ma sempre in uno «spirito unitario»). Diversamente da Beppe Fioroni. L’ex dirigente popolare non nasconde i problemi e la sua rabbia: «Non ne posso più, non vorrei che facessimo la fine del disco rotto che ripete sempre le stesse cose».

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