RomaSe perfino la Bindi, che una volta si avventurò nel definirlo «il più bello del centrosinistra», dà segni evidenti di cedimento, significa che siamo in piena sindrome libica. Nel bunker del Colonnello Bersani abbondano piadine e Gutturnio ma comunque attorno sintravede il deserto. Nemmeno una tribù che lo difenda nella caotica Jamahiriya del Pd, assediato da finti amici e mercenari del progressismo reale, senza nemmeno figli maschi per radunare le ultime truppe, lunica vera corsa è a mollarlo. Lui che appena eletto segretario, pur da amante delle lenzuolate, aveva escluso che il Pd potesse farsi «lenzuolo» da strattonare a sinistra (Vendola) e centro (Casini), ma piuttosto dovesse diventare il baricentro di una bella comitiva di riformisti, da quei presunti alleati non fa che prendere colpi di pugnale. La Bindi, cattolica franceschiniana, che ora non esclude candidati premier alternativi a Bersani. E Vendola? Come i ragazzini ha buttato la colpa sullamico: è lui che mi ha consigliato lassessore Tedesco, figuriamoci, io avrei scelto un poeta salentino. Lui ci parlava al telefono quando cera da piazzare lamico dottore allAsl, ma se ci sono guai rivolgetevi a Bersani. E questo sarebbe lalleato del «governo di scopo» individuato dal segretario Pd? Siccome «la tristezza è un lusso da ricchi» e lui si sente ancora un proletario di Bettola, lottimismo lo guida anche nella disgrazia. Dopo dieci giorni che aveva preso la guida del Pd, disse che il partito era già «più unito». Se lè tirata da solo. Cè la coazione a perdere che è la stimmate dei leader democratici, e forse Bersani non vuole rompere la tradizione. Si sospetta che il suo uomo per le primarie di Torino, Piero Fassino, un altro abbonato della mestizia da flop, sia lì lì per perdere la sfida con Gariglio. Sarebbe una catastrofe, quindi è probabile che accada.
A Napoli Bersani aveva scommesso sul magistrato anticamorra Raffaele Cantone, unica chance di uscire dalle pastoie del bassolinismo e competere alle urne, ma si è preso lennesimo gran rifiuto. Le primarie del Pd le vince Vendola, che non è del Pd. In compenso tutti vanno, nessuno arriva. In Parlamento si contano i passaggi da Pdl a Fli, spesso di andata e ritorno, ma nel frattempo ci si dimentica dellesodo lento e inesorabile dal Pd, da cui sono fuggiti in 21 in due anni e mezzo, con un solo misero arrivo (lex dipietrista Touadi). Il bello (calcolo che dobbiamo a Italia Oggi) è che 20 dei 21 fuggiti, se ne sono andati da quando Bersani è segretario. Si è formato addirittura un altro partito, lApi, fatto di fuggiaschi soprattutto del Pd bersaniano. Altri sono passati allUdc, altri al Misto, comunque andati.
Senza contare cosa gli è successo dentro il partito, formalmente ancora Pd anche se frammentato in mille correnti e rivoli. Gli hanno dato del ferro vecchio e si sono riuniti in una convention, quella dei «Rottamatori», per fargli le scarpe scientificamente. Con lo sberleffo: «Il nuovo Ulivo? (idea di Bersani, ndr) Fa sbadigliare». «Dobbiamo liberarci di unintera generazione di dirigenti del mio partito. Non faccio distinzioni fra DAlema, Veltroni e Bersani... Basta. È il momento della rottamazione. Senza incentivi». Bersani ha risposto con il suo stile brillante-pop, modellato sulle balere emiliane: «Caro Renzi, in politica nessuno nasce sotto i cavoli». Però i cavoli sono tutti suoi per il momento.
Il segretario Pd ha già perso le regionali 2010, il suo prossimo test saranno le amministrative di maggio. Potrebbe essere una prova decisiva per la sua leadership, come le regionali della Sardegna lo furono (in negativo) per quella di Veltroni. Le piazze incandescenti per lui saranno soprattutto Torino, Bologna, Napoli e Trieste. Perderne una si può, due è già un problema, tre una disfatta, quattro un incubo.
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