Roma - «Siamo uniti come non mai», giura D’Alema in tv. Ma nel pentolone Pd, alle prese col governo Monti in fieri, sobbollono umori, paure e speranze molto diversi. Tra i supporter convinti del governo Monti, dentro il Pd, ieri sera c’era tensione. Il vicesegretario Enrico Letta, come la capogruppo del Senato Anna Finocchiaro, confidavano ai loro interlocutori nel partito qualche preoccupazione e un certo pessimismo: il rischio è che, senza uno scatto immediato di reni, il tentativo si impantani tra i veti incrociati e le vischiose trappole dei partiti. Compreso il loro.
Bersani ha tenuto duro sulla linea del no ai politici nel governo, confidando sullo speculare niet del Pdl, e resistendo anche alle pressioni di chi, come D’Alema, aveva invece insistito sulla necessità di un «rafforzamento» del gabinetto, per il quale era in predicato Letta (e in cui secondo alcuni, anche Veltroni, sarebbe entrato volentieri). Ai suoi, peraltro, il segretario non ha nascosto di aver dato via libera obtorto collo all’operazione Monti, e perché aveva «le mani legate da Napolitano», come spiega un dirigente a lui vicino. E al Nazareno si guarda con una certa preoccupazione al riassestamento degli equilibri interni già in corso: Dario Franceschini, già stretto alleato di Bersani, ha tessuto ieri sul Corriere le lodi dell’«indispensabile» governo Monti, e si sta riavvicinando a Walter Veltroni, grande fan dell’operazione. Anche perché il capo dei deputati Pd ha capito che, con un governo tecnico, il ruolo dei gruppi parlamentari diventerà ancor più centrale di quello dei partiti, e che le trattative su legge elettorale o riforme, su cui si augura un «accordo bipartisan», si intesseranno a Montecitorio. Dal canto suo Veltroni celebra Napolitano e il governo da lui voluto, e imbraccia già quella che sa essere un’arma potenzialmente letale per l’unità di facciata del Pd sui temi economici, indicando la riforma del lavoro proposta da Ichino come esempio di ciò che Monti potrà fare. Quanto a Enrico Letta, è nel mirino di gran parte degli ex Ds per il ruolo svolto nelle ultime cruciali settimane: è stato lui il più esplicito sostenitore di Monti e il principale interlocutore del capo dello Stato. E anche gli ex Dc come la Bindi o lo stesso Franceschini lo guardano con grande sospetto e gelosia per timore che si rafforzi troppo nel partito.
Uno squarcio sull’atteggiamento bifronte che il Pd bersaniano ha nei confronti del tentativo di governo affidato a Monti lo dà un piccolo episodio rivelatore: il responsabile economico del partito, l’ormai celebre Stefano Fassina (quello che nell’ultima direzione ha tuonato contro le «tecnocrazie di Bruxelles»), è intervenuto ieri su due giornali. Sull’Unità, organo del partito, si è dovuto attenere alla linea ufficiale: il governo di emergenza è «una scelta politica di portata storica», un «valore aggiunto straordinario» che serve a riportare non solo l’Italia ma addirittura l’intera Ue «sulla rotta dei padri fondatori», verso «la completa unione economica e politica». Investitura solenne, programma di legislatura: esattamente sulla linea Napolitano.
Ma sul quotidiano fiorentino La Nazione, potendo parlare in libertà, Fassina rivela il suo vero pensiero: Monti arriverà a fine legislatura? Neanche per sogno: «Non credo sia necessario, qualche mese dovrebbe essere sufficiente».
Lo sbocco elettorale, se i partiti impantanassero Monti, è ancora in cima alla lista dei desideri di tanti, nel Pd, a cominciare da quei giovani dirigenti di maggioranza che non sono ancora in Parlamento e che sperano molto di entrarci, se le liste le farà l’attuale segretario e con questa legge elettorale: una delle ragioni per cui le elezioni anticipate avevano (e ancora hanno) tanti fan, e non solo a sinistra, è che se si tenessero nel 2012 il referendum elettorale salterebbe, e la legge rimarrebbe.
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