Bersani si gioca il posto sull'articolo 18

Il segretario alle prese con una mediazione impossibile tra duri e riformisti che rischia di spaccare il pd

Bersani si gioca il posto sull'articolo 18

All’ombra del governo Monti si sta aprendo nel Pd una piccola rivoluzione culturale. Per ora ancora sotterranea, ma desti­n­ata ad avere prima o poi i suoi vin­citori - e le sue vittime.

Le prime scaramucce si stanno già combattendo nelle retrovie, e per averne un’idea basta farsi un giro sul web, nei siti di area. Il gior­nale on line Qualcosa di riformi­sta , che fa capo all’ala liberal del Pd (quella animata da Enrico Mo­rando, Giorgio Tonini, Stefano Ceccanti, Claudio Petruccio­li e altri ex veltro­niani del Lingotto, che oggi gra­zie al gover­no Monti-Na­politano respi­rano aria di ri­vincita) ha per esempio inaugu­rato­una perfida ru­brica dal titolo «A let­to con Marx », sottoti­tolo: «Il primo amore non si scorda mai». E da qualche settimana sta mettendo nel mirino due «pa­sdaran bersaniani» come il re­sponsabile economico Stefano Fassina e quello della cultura Mat­teo Orfini. Se qualche giorno fa un apocrifo Togliatti invitava il «com­pagno Bersani » a spedire entram­bi i membri di segreteria in Corea del Nord, ieri un redivivo Pio IX, il reazionario papa del Sillabo, li be­nediva come «pupille dei miei oc­chi », «erroneamente accusati di essere socialisti o comunisti, quando è evidente la loro sana e benedetta matrice antimoder­na », compagni di lotta contro la «terribile peste del liberalismo, cui si connette il liberismo».

Il futuro campo di battaglia tra le due anime del Pd è già chiaro: la riforma del lavoro,e la sua norma­bandiera dell’articolo 18. Un terre­no «pieno di mine» - avvertiva ieri Europa , quotidiano del partito (cotè riformista) - che metterà «a dura prova la capacità democrati­ca di fare politica ».Mentre l’ Unità (cotè laburista) dava la parola al giuslavorista Pietro Ichino, che esorta il partito nelle cui liste è sta­to eletto al Senato a non «restare fermo», come ha fatto finora per evitare sconquassi interni, col ri­sultato di «trovarsi impreparato» davanti ai cambiamenti in corso. E a disseppellire le sua proposta di flex-security, firmata dalla mag­gioranza del gruppo Pd ma poi «accantonato dalla nuova mag­gioranza nata dall’ultimo congres­so ».

Quella proposta, ricorda con comprensibile soddisfazione Ichi­no, è ora «indicata inequivocabil­mente come base per la riforma da Mario Monti, al cui governo il Pd ha promesso pieno sostegno». Peccato però che autorevoli espo­nenti del partito, dal solito Fassi­na agli ex ministri Cesare Damia­no e Tiziano Treu, fino all’ex lea­der Cgil Cofferati, siano feroce­mente contrari. «Non credo sia possibile mettere in pratica le idee legittimamente sostenute dal senatore Ichino, e cioè di man­tenere l’articolo 18 per chi ha già un lavoro stabile e negarlo ai nuo­vi ingressi», dice liquidatorio Da­miano in un’intervista al Riformi­sta .

Il segretario Bersani è perfetta­mente consapevole del rischio di strappi interni che il Pd cor­rerà quando si­arriverà al momen­to delle scelte e dei voti parlamen­tari, e si prepara a una faticosa me­diazione interna. Per questo già da qualche giorno sta cercando di sminare il terreno: meglio «non drammatizzare» la questione arti­colo 18, esorta, perché in fondo «non riguarda il 90% delle impre­se ». Il Pd deve essere pronto a «in­goiare qualche rospo », a patto che gli altri (Pdl in testa) ne ingoino al­t­rettanti.

Bersani confida nella «tecnica Monti» e nella promessa del pre­mier di presentare un pacchetto complessivo di interventi, nel qua­le ogni boccone amaro rifilato alla sinistra sia compensato da altret­tanto fiele somministrato alla de­stra. E spera che la concertazione del governo con le parti sociali rie­sca ad arginare e addomesticare la Cgil, per ora assestata su una li­nea alquanto bellicosa.

Perché se fuori dal parlamento e a sinistra del Pd si saldasse su questi temi un fronte di opposizione Camus­so- Vendola-Di Pietro, nel partito di Bersani scorrerebbe inevitabil­mente il sangue, e la strada delle larghe intese e dell’appoggio al go­v­erno Monti diventerebbe imper­via.

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