Roma - Un tempo ci si divideva sulla vasca (di destra) o la doccia (di sinistra); i camperos (di destra) e le clark (di sinistra). O su Tex Willer. Oggi l’argomento su cui il Pd litiga è assai più serio, e di più vasta portata. Mario Monti e le scelte politiche del suo governo sono di destra o di sinistra?
Il dibattito lo ha aperto Walter Veltroni domenica, con un’ampia intervista a Repubblica nella quale esortava il proprio partito a non di farsi scippare Monti e il suo governo «riformista» dal centrodestra, o peggio ancora da Casini, e ad aprire senza «tabù» sulla riforma del lavoro. E nella quale, sia pur tra le righe, indicava il Professore come possibile futuro premier di una larga coalizione di governo.
Le reazioni nel Pd sono state furibonde, tanto che il lettiano Francesco Boccia denuncia una «indecente caccia all’uomo» contro Veltroni. Il quale, insieme a tutta l’ala filo-Monti del Pd, teme che la riforma del lavoro sia il terreno minato su cui la grande coalizione che regge il governo tecnico può saltare. La Cgil è in grande difficoltà, e frena sui tempi di chiusura dell’accordo. E in casa Pd questo tentativo di rinvio viene letto come un gioco di sponda con la sinistra interna vicina a Bersani: «Il ragionamento con cui cercano di convincere Bersani - spiega un veltroniano - è questo: prima stravinciamo le amministrative, poi il Pdl sarà tramortito e noi apriamo la crisi sul lavoro». Un atout formidabile per una campagna elettorale politica nel segno della «foto di Vasto» e tutta in chiave neo-laburista, con Bersani candidato premier di Pd, Sel e Idv e la Cgil in piazza a sostenerlo. Per fortuna, aggiunge il veltroniano, che c’è Napolitano a vegliare, altrimenti «finisce esattamente come la “gioiosa macchina da guerra”: Pd e Casini, se sono furbi, si ricompattano su Monti e ci mandano all’opposizione vita natural durante».
C’è anche questa partita, dietro la grande rissa su Monti di sinistra o di destra, e ora si attende una prossima direzione per mettere sul tavolo le carte dello scontro interno. Ma a bruciare in casa bersaniana, dell’intervista a Veltroni, è anche il mezzo attraverso il quale l’ex segretario ha inviato il suo messaggio: il definitivo «tradimento» di Repubblica. Non che le avvisaglie fossero mancate: solo pochi giorni fa Francesco Merlo, in un suo commento su Sanremo, aveva equiparato Pier Luigi Bersani a Gianni Morandi: «Entrambi (...) un tempo sono stati molto bravi, cantante e ministro, mentre oggi sono tristemente inabili al ruolo di conduttore».
L’indignazione dei bersaniani è tracimata sul web. La punta di lancia, Stefano Fassina, si è occupato di smontare da sinistra Veltroni (e Monti, che «non è progressista»), accusandolo niente di meno che di essere berlusconiano. Oltre che chiamandolo «Water» anzichè Walter su Facebook. Solo un refuso? Può darsi.
Ma che a bruciare sia la scelta di Repubblica, un tempo più amica di Bersani ma ora in rotta di avvicinamento alle ipotesi di grosse koalition veltroniane, lo si capisce ad esempio leggendo i dolenti sfoghi via social network di una pasionaria bersaniana come la direttrice di YouDem Chiara Geloni: «Il giorno che le dimensioni e l’impaginazione delle interviste di Repubblica ai dirigenti del Pd avranno un rapporto con l’importanza dei contenuti, il ruolo di chi parla e la realtà in generale potremo dire di essere di fronte a
un’informazione onesta». Come mai, si chiede Geloni, «le opinioni di un singolo deputato Pd vengono ritenute tanto importanti da avere così tanto spazio più di quello che normalmente viene riservato alle idee del segretario?». Chissà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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