nostro inviato a Montevideo (Uruguay)
È l'ampia coalizione, bellezza. A Montevideo si chiama «Frente amplio» e va dai democristiani fino a ex fiancheggiatori dichiarati dei celebri tupamaros uruguayani degli anni Settanta. A Roma invece si chiama «Unione», ma è soltanto un nome.
Nessuno dei tupamaros che a parole fanno fuoco e fiamme in Parlamento ha mai fatto sul serio. Le gesta più «feroci» essendo quelle perpetrate in piena aula di Palazzo Madama, tra seggi austeri che suggerirebbero pace e ponderazione. Azioni di lotta che sembrano piuttosto portare il marchio dell'agguato democristiano da prima Repubblica. Ma che non incrinano la fiducia del presidente della Camera, Fausto Bertinotti, nella «democraticità della costruzione di coalizioni largamente rappresentative», anche se «non sono un'invenzione ma uno stato di necessità», rispetto «a sistemi elettorali punitivi così da semplificare la vita politica con la cancellazione di alcune forze».
Ma le notizie che giungono dall'Italia costringono agli straordinari il presidente della Camera appena sbarcato a Montevideo per incontrare il suo omologo Julio Cardozo. Bertinotti resta a lungo attaccato al telefono con Roma. Questo governo proprio non vuol marciare, anche se il presidente della Camera insiste nelle sue iniezioni di fiducia che invitano Prodi e alleati a «fare di necessità virtù», «a imparare a convivere con le difficoltà di una coalizione così ampia», «a saperla fronteggiare». Per questo ripete che «abbiamo il dovere di durare» e «non vedo nessuno avanzare una proposta alternativa né per il domani, né per il postdomani». Anzi, quelle che «vengono sussurrate» o bisogna «precludersele» o «non reggono neppure in linea astratto-concettuale». Evidente il riferimento ai tentativi neocentristi di Grosse koalition tra Ds e Forza Italia (la prima) e di cambio della guardia generazionale, magari tra Prodi e Veltroni o Bersani (la seconda).
Dunque, che cos'è questa crisi? «Non una il cui sbocco vada affrontato per via istituzionale», mette le mani avanti Bertinotti. Che però non si sottrae: «Il malessere esiste, c'è una crisi politica latente e non si possono fare spallucce». Come rispondere politicamente? «Allungando il passo, andando più in alto e più in avanti», perché non si può neppure restare in uno stato di pericoloso «galleggiamento opportunistico», oggi preda delle manifestazioni del malessere «di una componente moderata e domani di una radicale, anche se spero non nelle stesse forme», dice e sottolinea per due volte Bertinotti. A questi problemi politici «va data risposta rafforzando la direzione di marcia, fronteggiando il danno con la riparazione del danno, non con il classico tirem innanz...». Soltanto se «terremo fede alle promesse fatte agli elettori» il governo potrà reggere per l'intera legislatura.
Grave è qualsiasi ricorso della maggioranza all'«aiuto interessato» dell'opposizione parlamentare. «Lo si deve rifiutare non per arroganza - aggiunge il presidente della Camera - ma perché l'unico aiuto che una maggioranza può accettare è quello disinteressato, ovvero quello che proviene dalla società, dai cittadini. Un aiuto benedetto, quanto l'altro è maledetto».
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