Marcello Foa
Il dolore, poi la rabbia, come quellafoso pomeriggio di settembre davanti alla scuola numero uno. Le Madri di Beslan piangono e si disperano. Lo volevano morto Nurpushi Kulayev, lunico terrorista superstite del commando ceceno che il primo settembre 2004 prese in ostaggio 1300 ostaggi. E invece Kalyev passerà il resto della sua vita in carcere. «Meriterebbe di essere giustiziato - ha dichiarato il giudice Tamurlan Aguzarov, leggendo la sentenza del tribunale di Vladikavkaz, capitale dellOssezia del Nord -. Ma la moratoria sulla pena capitale in vigore in Russia dal 1996 mi obbliga a tramutare la condanna in ergastolo».
Lui eri lì, chiuso in una gabbia di ferro. Sbarbato di fresco e con i capelli tagliati quasi a zero. Ha 25 anni e prima faceva il carpentiere. Ora ha laria smarrita e non particolarmente feroce. Il suo sguardo è quasi mite. Al momento del verdetto ha stretto le labbra e gli occhi, per un secondo, gli si sono inumiditi; poi si è ricomposto. Non ha mostrato emozione nemmeno quando le madri hanno cercato di avventarsi su di lui per linciarlo. «Lui continuerà a respirare la nostra stessa aria, mentre nessuno ci restituirà i nostri figli», hanno urlato. Il 3 settembre, nella battaglia finale tra i terroristi e le forze dellordine morirono 331 persone; più della metà erano bambini. Kulayev ha cercato di convincere i giudici di essere stato costretto dagli altri membri del commando a partecipare allassalto. Ha giurato di non aver aperto il fuoco contro gli ostaggi. Nessuno gli ha creduto, ma la tragedia continua a presentare molti punti oscuri.
Di certo non è lunico responsabile ancora in vita. Mosca continua a dare la caccia al numero uno dei guerriglieri indipendentisti ceceni, Shamil Basayev, che qualche giorno dopo ammise le proprie responsabilità: era stato lui a pianificare lattacco, lui a dare il via libera alloperazione, lui con il cellulare a istruire il commando nella scuola. La gente dellOssezia del Nord lo odia. Ma le «Madri di Beslan» odiano anche il Cremlino. Ieri nellaula del tribunale una giovane donne vestita di nero, i capelli raccolti in un foulard, il volto pallido e sofferto ha alzato un cartello su cui aveva scritto: «Non cè perdono per le autorità che hanno permesso che Beslan accadesse». Lei e le sue compagne vorrebbero che anche i poliziotti corrotti e i funzionari che, per negligenza, non fermarono il commando, venissero processati. E assieme a loro i comandanti dellesercito e delle truppe scelte, responsabili di un blitz che si sospetta sia stato condotto con maniere troppo forti, pensando più a uccidere i terroristi che a salvare i bambini.
Vorebbero sapere, le Madri di Beslan, di quanti elementi era composto il commando. Solo trentadue, come pretende il Cremlino? O cinquanta come sostengono alcuni testimoni? E che fine hanno fatto i quattro terroristi di cui i portavoce del governo, poche ore dopo lepilogo del sequestro, ammisero la fuga promettendone la cattura in tempi brevi, salvo poi negare tutto il giorno dopo? Quei quattro sarebbero riusciti a scappare facendosi scudo di alcuni ostaggi.
A Beslan cè dolore, rabbia.
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