Besson: «Parigi è troppo bella le dovevo il mio nuovo film»

«Mi dava fastidio che la mia capitale fosse ancora assente dal grande schermo»

Cinzia Romani

da Roma

Stufo marcio di starsene compresso nei sofisticati laboratori informatici, dove da quasi cinque anni armeggia intorno al film d’animazione Arturo e le mimose (budget da settanta milioni di euro), il regista Luc Besson è sceso per le vie di Parigi, cinepresa in spalla. E l’ha filmata in lungo e in largo, in bianco e in nero, sotto i ponti e in mezzo alle piazze, frugandola nella furia amorosa che, di solito, compete agli amanti. Con la scusa di raccontare la storia di un angelo e di un poverocristo, di una creatura bionda molto bella e di un arabo nero quasi repellente, stavolta l’autore di Nikita cuce il suo schema poetico intorno a un nucleo che sarebbe teologico, se non fossimo al cinema. Perché in Angel-a (da venerdì nelle sale) si parla nientemeno che del riflesso di Dio in noi stessi e negli altri. Ovvero dell’incapacità di scorgere la Bellezza nell’anima nostra e in quella altrui. Nessun timore, però: i toni del racconto new-age, ormai genere consolidato presso le platee più giovani e più romantiche, sconfinano nell’ironia d’una scrittura contemporanea. Così l’angelo femmina è la danese Rie Rasmussen, un trampoliere di donna (alla Milla Jovovich) che fuma come una turca e si vende come una battona negli eleganti cessi parigini. Né esita a stendere, di suo pugno, i brutti ceffi che rincorrono André (il musulmano Jamel Debbouze, qui al suo debutto da protagonista), un cialtrone fatto e finito, indebitato con mezza Parigi. Dove s’incontrano i due? Sotto il ponte dell’Alma, mentre entrambi cercano la morte per annegamento. «M’interessa la storia dell’angelo custode, che è in ognuno di noi. Perciò ho voluto mostrare una bella donna, piena di vita e un uomo, che sta bene nella sua pelle: le due facce della stessa persona», spiega Besson, confessando di non riuscire a guardarsi nello specchio oltre i due minuti. Laddove, invece, i suoi protagonisti dialogano spesso davanti alla superficie riflettente, cercandovi risposte al male di vivere. «Il grande problema della società moderna è l’immagine», dice ancora il regista, pure fisicamente appesantito dalle responsabilità conseguenti ai film miliardari. «Dobbiamo assomigliare tutti a Brad Pitt e avere una Bmw», polemizza l’artista, che almeno a macchine di lusso si dichiara attrezzato.
Naturalmente Luc Besson reca le stimmate del tipico autore francese, anche quando ricopia La vita è meravigliosa (1946) di Frank Capra o cita Il cielo sopra Berlino (1988) di Wim Wenders, senza pagare il debito di un’esplicita riconoscenza alle fonti. Così lancia un messaggio ai colleghi europei. «Mai dimenticare che, prima di tutto, i registi sono artisti. Né occorre far seguire, a ogni film, un film ancor più grande», avverte lui, che ha vissuto come una vacanza le nove settimane di ripresa di Angel-a, stipato in un pulmino con gli otto membri della sua troupe. E che sia stato piacere puro tornare su un vero set, cercando all’alba i contrasti migliori per riprendere le strade e i giardini della Ville Lumière, qui è evidente. «Da molto tempo Parigi, città molto fotogenica, non veniva mostrata nella sua bellezza: mi dava fastidio che fosse assente dal grande schermo», osserva Besson, le cui spericolate inquadrature dall’alto rendono un grande servigio alla capitale francese.
Ma c’è anche un messaggio politico, nell’aver scelto un attore marocchino e un’attrice danese, per far loro interpretare diavolo e acqua santa? «Il film si fonda sulle opposizioni: bene e male, bianco e nero, interiore ed esteriore», precisa il regista, che detesta, ricambiato, l’intellighentia parigina. «In Francia giornalisti e intellettuali soffrono della sindrome di Poulidor, il ciclista eterno secondo, tanto amato perché non si piazzava mai primo come Eddie Merckx», scherza Besson, scordando che Merckx veniva detestato soprattutto perché belga (se vogliono insultare qualcuno, i francesi gli danno del «belge»).

Quasi un clone della Jovovich, Rie Rasmussen, presente anche lei alla Casa del Cinema per il lancio del film, qui è al suo primo ruolo da protagonista, ma aspira a fare la sceneggiatrice e la regista. Col suo fisico da bernardona, del resto, forse è meglio.

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