Carissimo dott. Lussana, vorrei raccontarle una storiella che, pur avendo il tenore di una barzelletta, a ben meditare, dice cose molto seriose ed assennate.
Si tratta della partita di calcio giocata il giorno 6 corrente tra lItalia e la Francia a Parigi. Io la titolerei così: «La nostra Nazionale battuta dagli afro-francesi». Questa partita, da noi temuta e non a torto, avrebbe dovuto rappresentare, per la Francia, una rivalsa per lo smacco subito da noi nella finale della Coppa del Mondo. Per noi, invece, un terzo tentativo per avere una riprova sulla validità, o meno, dei nuovi giovani, conduttori che, nel dopo Lippi, hanno avuto lincarico di sovraintendere al nostro calcio maggiore, cioè la Nazionale. Riprova, purtroppo, negativa, altra «fumata nera»...
Ma non voglio soffermarmi a considerazioni tecniche sulla partita. Ne hanno trattato a iosa tutti i giornali.
Voglio riferire, solo, un episodietto, verificatosi in conseguenza della partita stessa.
Miei vicini di casa, hanno un ragazzetto (poco più di sei anni) che neofita del gioco del calcio, viene spesso a casa mia per seguire con me alla televisione le partite. Lui, di calcio, data letà, ne «mastica» ancora poco. Tifoso del Genoa, si interessa molto delle vicende rossoblù; non ne sa molto, in fatto di calcio internazionale.
La sera della partita, non appena arrivato mi fa: «Con chi gioca lItalia? Non è la Francia?». «La Francia» confermo io.
«Ma allora - mi replica lui indicando giocatori in maglia azzurra, che (nel video) stanno risalendo dagli spogliatoi - Chi sono quelli?». «I giocatori francesi» faccio io.
«Ma sono quasi tutti negri...! Son francesi quelli?». «Certo - confermo io - francesi a tutti gli effetti. Già africani, immigrati in Francia, molti già da decenni, coi figli nati in territorio francese... Impiegabili, quindi, per la Nazionale».
«Non mi pare giusto - mi ribatte il ragazzo, polemico - La maglia della Nazionale (che è come la bandiera della Nazione) dovrebbero indossarla dei veri francesi, tali da secoli, non degli extracomunitari adottati... Non ci sono in Francia, dei giocatori bianchi validi, perché si debba far ri ricorso ai giocatori di colore». Ti piaccia o non ti piaccia - rispondo io - è proprio così. Ai francesi va bene e, contenti loro...».
Il ragazzo non è convinto, vuol continuare a polemizzare. «A me non andrebbe, se fosse così anche in Italia... I nostri sono tutti veri italiani, no?». «Certo - faccio io - con qualche piccola eccezione. Nella squadra, gioca un certo Camoranesi, ma pur essendo nato nellAmerica Latina, è italianissimo di nome e di sangue. Noi siamo ancora dei puri... Fin che dura - aggiungo. «Che vuol dire... sin che dura?» mi fa lui. «Caro ragazzo - gli spiego - Tu sei giovane ma, come verrai grande, tra qualche decennio, taccorgerai che, in Europa, piano, piano, in fatto di calciatori nazionali, tutti si saranno adeguati a quelli che ora, ha già fatto la Francia... Cè unimmigrazione che non accenna a diminuire, e lItalia comincia a .... - pare di nuovi arrivi da tutte le parti del mondo. Per cui tu, un bel momento facendo «tifo» per la Nazionale italiana ti ritroverai a gridare: «Forza Mikelele, Appiah, Mustafà, Abdel Kirim, Rodriguez... tutti (anche se negri, gialli, bruni) italianissimi. E che, magari, parlano anche i dialetti lombardo, toscano e siculo...
Ammesso che sopravvivano i dialetti. E subentri la necessità di parlare solo inglese (data la eterogeneità dei nuovi cittadini). E anche (ma Iddio ce ne scampi) larabo... E tu ti addatterai così come fanno i francesi...».
Il ragazzo voleva contestare; ma sullo schermo, si diede inizio alla partita.
Ma erano tutti francesi, francesissimi.
Io però mi prendo lo sfizio di chiamarli «afro-francesi».
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