Roma

A Bianchini 17 anni. «Giustizia è stata fatta»

Diciassette anni di carcere invece dei quindici chiesti dal pm Antonella Nespola per Luca Bianchini, il ragioniere accusato di aver commesso tre stupri nella capitale tra l’aprile e il luglio del 2009.
Alla lettura della sentenza lui rimane impassibile. Una delle vittime, invece, scoppia in lacrime e abbraccia il pm ringraziandolo di quanto fatto. È Bianchini, ex segretario di un circolo del Pd, dunque, lo stupratore seriale che, con il volto coperto da un passamontagna nero, aggrediva le donne alle spalle mentre di notte parcheggiavano l’auto nel garage condominiale e abusava di loro dopo avergli chiuso la bocca con del nastro adesivo e legate con delle fascette da elettricista. I giudici della VII sezione del Tribunale hanno riconosciuto la continuazione e non hanno concesso le attenuanti generiche all’imputato, che dovrà anche risarcire le parti civili costituite in giudizio e pagare intanto una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 60mila euro per il Comune di Roma e 150mila euro per ciascuna delle tre donne che hanno subito gli abusi.
Una sentenza pesante, che evidentemente non ha tenuto in nessun conto delle argomentazioni della difesa e del fatto che Bianchini si è sempre dichiarato innocente. Anche in presenza di una prove genetica, tra l’altro ripetuta due volte, che lo inchiodava alle sue responsabilità: il dna rilevato dalle tracce organiche che avevano macchiato gli abiti delle vittime è infatti risultato perfettamente compatibile con il suo. A pesare sull’imputato anche un precedente che risale al ’96: Bianchini cercò di violentare una vicina di casa intrufolandosi con una scusa nel suo appartamento. La donna reagì e si salvò anche grazie all’aiuto del figlio di 10 anni che si aggrappò con tutta la forza ai capelli dell’intruso. Per quel fatto il ragioniere romano venne scagionato dal gip perché ritenuto incapace di intendere e di volere. Una perizia, invece, in questo processo non è stata ritenuta necessaria, nonostante la difesa l’avesse chiesta in subordine all’assoluzione. Presente in aula, ieri, il capo della squadra mobile Vittorio Rizzi, che ha ricevuto al telefono le congratulazioni del questore Giuseppe Caruso.
Soddisfatta Teresa Manente, difensore di parte civile per conto di due delle tre vittime: «È una sentenza che riconosce la gravità della violenza sessuale quale delitto che annienta la persona, la sua integrità psicofisica. Un delitto che per gravità è inferiore solo all’omicidio». Gli avvocati di Bianchini, Bruno Andreozzi e Giorgio Olmi, promettono battaglia in appello: «La sentenza è particolarmente pesante, è andata oltre le stesse richieste del pm per quanto riguarda la pena. Il collegio - sostiene Andreozzi - non ha ritenuto di riflettere su tutte le obiezioni, le sollecitazioni e i suggerimenti avanzati da questa difesa. Leggeremo le motivazioni e faremo ricorso. Debbo dire che i motivi d’appello sicuramente verteranno su tante di quelle cose che avevamo prospettato e che pretendevano una risposta che con la sentenza non c’è stata». Il riferimento del penalista è alla richiesta (respinta) di perizia psichiatrica, alla mancata ripetizione dell’esame del dna, ai mancati accertamenti sui tabulati telefonici con confronto tra l’orario e il luogo delle chiamate fatte da Bianchini e il luogo in cui sono avvenuti gli stupri. La difesa sostiene infatti che l’imputato, al momento delle violenze, fosse lontano dai posti dove sono state aggredite le vittime. Il sindaco Gianni Alemanno ha espresso vicinanza e sostegno alle tre donne: «Credo che giustizia sia stata fatta con una sentenza rigorosa e giusta.

Delitti di questo genere sono assolutamente devastanti per le vittime che, nella severità della giustizia, trovano un parziale riparo contro le sofferenze patite».

Commenti