Il Bin Laden indiano che ha studiato dai cattolici

L’Osama Bin Laden indiano, una pista pachistana e l’atavico scontro sul Kashmir sono le ombre dietro le quinte dell’11 settembre di Mumbai. L’antiterrorismo sta dando la caccia ad Abdul Subhan Qureshi soprannominato l’Osama Bin Laden dell’India. Trentasei anni, perito elettronico, è abilissimo con i computer e nei travestimenti. Esiste solo una sua foto sbiadita, che mostra una faccia con barbetta da bravo ragazzo. Dal 2001 ha fatto perdere le sue tracce, ma viene considerato la mente dei mujaheddin indiani, l’Al Qaida locale.
L’antiterrorismo sospetta che Qureshi abbia pianificato gli attentati più sanguinosi di quest’anno. Da quello di Jaipur in maggio, che provocò 61 morti, all’attacco multiplo nella capitale, dello scorso settembre, che costò la vita a 24 persone. L’Osama indiano avrebbe rivendicato via posta elettronica le stragi firmandosi con il nome di battaglia di Al Arabi. Qureshi è cresciuto a Mumbai e proprio nella capitale finanziaria dell’India avrebbe cominciato la carriera del terrore nel 2006, con l’attacco multiplo ai treni che causò 187 morti. Il giovane capo bastone del terrorismo islamico è istruito, non aveva mai dato segni di estremismo e veniva considerato un dipendente modello. La famiglia è originaria del nord dell’India, ma si è trasferita a Mumbai dove Qureshi ha studiato in una scuola superiore cattolica. Nel 1995 ha ottenuto il diploma di perito elettronico cominciando a lavorare in una delle tante compagnie informatiche di Mumbai. I suoi datori di lavoro lo ricordano come un dipendente modello, ma alla fine degli anni Novanta aveva aderito al Movimento degli studenti islamici, partecipando a riunioni in cui si inneggiava alla guerra santa e alla patria dell’Islam contro quella indiana. Nel 1999, ad uno di questi incontri partecipò via telefono lo sceicco Ahmed Yassin leader spirituale di Hamas, poi ucciso dagli israeliani. Nel 2001, pochi mesi prima del’11 settembre, il futuro Bin Laden dell’India sparisce nel nulla lasciando solo una lettera in cui scrive che avrebbe dedicato «un anno alla ricerca spirituale e religiosa». Non è tornato più a casa.
L’antiterrorismo è convinto che Qureshi sia uno delle menti dei mujaheddin indiani, esplicitamente citati nel messaggio di rivendicazione del carnaio di Mumbai. Uno dei terroristi asserragliati nell’hotel Oberai, parlando al telefono con la televisione indiana, ha lanciato un ultimatum: «L’India deve liberare tutti i mujaheddin e dopo rilasceremo gli ostaggi». Un altro terrorista ha fatto riferimento ai «musulmani uccisi in Kashmir», la regione himalayana contesa da India e Pakistan. Il braccialetto indù al polso di uno dei terroristi e la mancanza di barba islamica di altri armati, che sono stati filmati o fotografati a Mumbai, potrebbe essere solo un camuffamento per penetrare in città senza sollevare sospetti.
La matrice del fondamentalismo islamico è dimostrata dalle frasi deliranti apparsi sui siti legati ad Al Qaida. «Oh Allah distruggi gli indù e fallo nel modo peggiore», è uno dei commenti. Oppure: «Quella in corso a Mumbai - spiega un altro utente - è una battaglia per Allah tra i suoi servi e i miscredenti». In un discorso alla nazione il primo ministro indiano, Manmohan Singh, ha evocato la pista pachistana, pur non citandola esplicitamente. Secondo il generale R. K.

Hooda, responsabile delle operazioni a Mumbai, alcuni membri del commando che ha attaccato la città sarebbero pachistani. L’intelligence indiana punta il dito contro i gruppi storici della guerriglia indipendentista in Kashmir, legati ad Al Qaida, messi fuori legge nel 2001 ma rinati con nuovi nomi.
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