«Ma il bipolarismo è il punto di non ritorno»

La Russa: «Sarebbe inammissibile ritornare ai tempi della Dc, quando il voto si dava nel mucchio. Quella fase è costata al Paese un danno enorme sul piano economico»

da Roma

Onorevole La Russa, a due giorni dal battesimo del Partito democratico parte l’offensiva del referendum. Esiste davvero un desiderio di semplificazione che parte dall’interno dello scenario politico?
«Ci sono molte resistenze ma da parte dei partiti più grandi la spinta per una semplificazione sta aumentando. Non lo scambierei, però, per un percorso obbligato verso il bipartitismo».
L’avvento del Partito democratico è una novità interessante in questo senso?
«È una novità sicuramente positiva con cui bisognerà confrontarsi. Intendiamoci però: non ha niente a che vedere con l’idea di un partito unico visto che fonde solo due partiti all’interno di una galassia di sigle».
Quella di Margherita e Ds sarà davvero un approdo senza ritorno?
«Le differenze valoriali sono vistose, ad esempio su famiglia e collocazione internazionale. La storia della sinistra è sempre stata costellata di fusioni e scissioni. La novità stavolta è che di mezzo c’è anche la sinistra Dc».
Il progetto della federazione del centrodestra langue su un binario morto. Dopo le amministrative farete qualcosa per farlo ripartire?
«Bisognerebbe farlo già prima delle amministrative. Il punto è che quelle differenze valoriali che dilaniano il centrosinistra da questa parte non ci sono. I valori di riferimento del centrodestra sono largamente condivisi. I problemi sono solo tattici. La Lega teme di perdere peso elettorale. L’Udc ha un altro progetto tattico e cioè essere l’ago della bilancia in un sistema in cui il centro si allea di qua e di là. Ma in questo modo rende più difficile la nascita di qualcosa a destra».
Quindi il centrodestra è in un vicolo cieco?
«Ma no. Io ritengo che almeno la strada della federazione sia immediatamente percorribile. Anzi voglio aggiungere una cosa. Io ritengo che parlare di federazione come primo passo verso il partito delle libertà non aiuti. Il partito delle libertà non è qualcosa che dobbiamo fare per forza. La federazione potrebbe essere anche il punto di approdo. Io mi accontenterei di decisioni comuni con regole prefissate. Inoltre nulla vieta che all’interno della federazione alcuni partiti possano fondersi».
Marini ha sentenziato: «Queste coalizioni non sono eterne». «Credo che abbia voluto marcare il territorio. Ha prima ricordato la sconfitta del comunismo reale. Poi ha rivendicato una centralità che i numeri non gli danno, attraverso il ricordo di una supremazia culturale e storica».
La nascita del Partito democratico provocherà contraccolpi sul governo? L’immagine perdente dell’esecutivo rischia di essere una zavorra per la nuova formazione?
«Certamente il Pd potrebbe indebolirsi ma senza l’esperienza di governo probabilmente non sarebbe nato».
C’è chi sostiene che si stia lavorando sotto traccia a una grande coalizione, con l’adozione del modello tedesco. È uno scenario realistico?
«Quando Berlusconi dice che vuole uno sbarramento alto, subito gli si attribuisce la volontà di puntare sul sistema tedesco.

Il punto di non ritorno di ogni discussione è il bipolarismo, cioè la possibilità di scegliere prima delle elezioni il candidato premier, la coalizione e il programma. Il ritorno al voto dato nel mucchio sarebbe inammissibile. Il tempo in cui la Dc cercava voti a destra e a sinistra è costato all’Italia un danno economico incalcolabile in termini di debito pubblico».

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