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Birmania, la resa della guerriglia

Un capo delle milizie karen: è finita, se ne riparla tra 20 anni. Arrestati nella notte quattro leader dell’opposizione

da Kler Gaw (confine birmano-thailandese)

Di qua è palude di fango e pioggia, giungla marcescente, mota rossastra. Qui ufficialmente è Birmania Orientale. I cartelli, dall’altra parte della sbarra, sul versante thailandese, si ostinano a porgere un cubitale “Benvenuto nello Stato di Kawtoolei”. Quello Stato non esiste su nessuna carta geografica, ma per il Colonnello è casa sua. È uno dei principali comandanti di quella guerriglia karen che controlla queste zone. È reduce da un vertice di tre giorni al quartier generale. Per arrivarci ha dovuto attraversare i territori thailandesi e ora sta tornando in patria, ma non è di un gran bell’umore. «È finita: abbiamo perso un’altra occasione, se ne riparla tra altri vent’anni», sbotta appena sceso dal fuoristrada.
Soltanto una settimana fa era più che ottimista. Era certo di poter lanciare un’offensiva, di potersi coordinare con gli altri gruppi etnici per formare un fronte comune con l’opposizione e i monaci di Rangoon. Tre giorni di discussioni con i propri leader politici e con i responsabili dell’intelligence thailandese, il grande sovrintendente della guerriglia karen, sono bastati a fargli cambiare idea. «La Cina e i birmani anche stavolta hanno fregato tutti - sospira il Colonnello -. La nostra riunione si è svolta sotto la supervisione dei servizi di sicurezza thailandesi... avevano l’ordine di frenare qualsiasi iniziativa, qualsiasi attacco... volevano preservare gli interessi economici di Bangkok e i suoi commerci con i generali birmani... per farlo gli è bastato mettere la museruola ai nostri capi politici». I thai, come li chiamano da queste parti, non hanno dovuto faticar molto. Pagati, mantenuti e alloggiati in Thailandia, gli anziani capi politici della cosiddetta Unione Nazionale Karen sono più interessati a preservare i propri privilegi che a rischiare un’incerta offensiva contro il nemico. «Hanno sacrificato ancora una volta la lotta del nostro popolo in nome dei loro interessi personali - sostiene il colonnello -, hanno accettato ancora una volta le regole di Bangkok e di quanti hanno interesse ad usarci come un comodo cuscinetto per far pressione sulla Birmania».
Le tattiche rinunciatarie della dirigenza politica e la sordina imposta da Bangkok non sono l’unica ragione dell’ennesima occasione perduta. Una terza la spiattella la Bbc mentre il colonnello scarica la sua ira. Nella notte la giunta militare birmana ha sferrato l’ultimo colpo di maglio arrestando quattro esponenti di primo piano dell’opposizione, latitanti sino a ieri. Fra di loro c’è anche Htay Kywe, uno dei pochissimi veterani della protesta dell’88 ancora in libertà. Assieme a lui sono finiti in galera Aung Htoo, Thin Thin Aye e Ko Ko, altri tre nomi rilevanti nell’organizzazione delle proteste iniziate a metà agosto. Il colonnello non si stupisce. «Da oltre una settimana non avevamo più alcun contatto Rangoon, ora sappiamo perché, sono tutti in galera, la protesta non esiste più. A Rangoon troveremmo solo galere piene e carri armati schierati».
La manifestazione dei 120mila trascinati a bordo di camion e bus nello stadio di Rangoon per scandire slogan a favore del regime sembra a questo punto la celebrazione della vittoria del regime. «Certo - s’infuria il colonnello -. È la vittoria di un esercito armato fino ai denti contro un’opposizione disarmata e una guerriglia priva di sostegno, ma è anche la vostra sconfitta. La giunta militare ha dimostrato di saper beffare l’Onu.

La Cina invece ha fregato gli Stati Uniti e il resto dell’Occidente mantenendo in piedi i propri protetti e i propri interessi economici».

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