Per comprendere gli arcani del voto birmano basta - dicono le voci di Rangoon - fare quattro passi tra le pozzanghere e le voragini dell87ma strada. In quel dissestato e fangoso angolo della capitale gli abitanti sanno già cosa votare, sanno già cosa devo scegliere per poter sperare in un futuro meno disgraziato. Il governo lha messo nero su bianco. Se nella vicina circoscrizione l «Unione per la Solidarietà e lo Sviluppo», il partito più vicino alla giunta militare raccoglierà almeno 500 voti allora - dopo le elezioni - arriverà lasfalto. Se no fango e pozzanghere per tutta la vita. Del resto vatti a fidare. Lultima volta fu nel 1990 e si sa come andò a finire. I generali aprirono le urne e lelettorato irriconoscente regalò la maggioranza ad Aung San Suu Kyi ed a quei suoi amici smaniosi di libertà e democrazia.
Ventanni dopo il tiranno Than Shwe e i suoi sodali non hanno nessuna voglia di correre gli stessi rischi. Stavolta non vi sarà bisogno di dichiarare la legge marziale. E neanche di sbattere in galera o torturar i vincitori. Stavolta per vincere le elezioni gentilmente concesse e previste per domani basterà far rispettare le regole. La prima riguarda un quarto dei seggi del parlamento. Vada come vada i rappresentanti di quel 25 per cento dellassemblea verranno scelti da Than Shwe e dai suoi generali. Per il restante 75 per cento non farà molta differenza. Stavolta la via birmana alle elezioni e alla democrazia non prevede sorprese. Gli unici due partiti in grado di far campagna elettorale o di mandar in giro i propri candidati sono l «Unione per la Solidarietà e lo Sviluppo» e unaltra formazione controllata dai militari della giunta. Tutti gli altri gruppi sono di fatto partiti semi clandestini. Partiti costretti a chiedere con settimane di anticipo lapprovazione per le manifestazioni e privi di qualsiasi controllo sulle urne e sullo spoglio dei voti. La garanzia migliore per evitare sorprese resta, comunque lassenza forzata di Aung Sang Suu Kyi e della «Lega Nazionale per la Democrazia», il partito che 20 anni fa costrinse in un angolo i militari. Sepolta viva nel fatiscente cottage di University Road dove sconta lultima condanna agli arresti domiciliari la paladina simbolo della democrazia birmana non tornerà in libertà prima della fine del mese. In sua assenza i pochi militanti della Lega sopravvissuti al carcere e alla repressione hanno già deciso di dare forfait e boicottare il voto. Parteciparvi equivale, del resto, a legittimare un partita di dadi truccati. Il voto di domani non prevede né spettatori, né testimoni, né, tantomeno, arbitri imparziali. I giornalisti stranieri privi di visti dovranno accontentarsi di raccontare le elezioni da migliaia di chilometri di distanza. Le delegazioni diplomatiche sono già state avvertite di tenersi lontane alle urne. Quanto agli osservatori internazionali i militare hanno fatto sapere di non sentirne assolutamente bisogno. In queste condizioni, come spiega lambasciatore inglese a Rangoon Andrew Heyn «Non cè alcuna possibilità che un partito dopposizione vinca le elezioni, non cè alcuna possibilità di una sorpresa simile a quella del 1990. In queste condizioni non può semplicemente accadere».
Lunica sorpresa di queste elezioni resteranno le rivelazioni di un ex maggiore dellesercito fuggito dal paese sette mesi fa che ieri - nella sua prima intervista al quotidiano inglese «The Independent» - ha rivelato i piani segreti della giunta birmana per la costruzione di un ordigno atomico.
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