Il Biscione riparte dal pic-nic

Il Biscione riparte dal pic-nic

Nei recenti articoli sul tema dell'edilizia residenziale pubblica a Genova apparsi su questa testata si confondono spesso i piani storici, non è possibile parlare indifferentemente di Begato, «Lavatrici» e «Biscione», inserendoli dentro un contenitore storico univoco, in quanto le condizioni sociali, politiche ed economiche in cui sono stati realizzati sono molto diverse.
Sono passati vent'anni tra Biscione (costruito nel 1956, il primo edificio in alto, per classe di operai provenienti dal sud per lavorare in porto) e Begato (costruito dal 1975 al 1990 a seguito della legge 167/62 per l'edilizia economica e popolare) dove, come al Corviale romano (costruito da Mario Fiorentino nel 1982), gli alloggi e gli spazi comuni, previsti dai progettisti, sono stati parzialmente occupati abusivamente dagli abitanti. Al Biscione questo fenomeno non si è verificato in quanto gli abitanti sono stati più rispettosi del bene collettivo. In secondo luogo l'architettura progettata da Daneri, rispetto a Begato, è più funzionale sia nel taglio dimensionale degli alloggi, sia nella scelta del sito preferendo l'orientamento a sud per avere sempre la luce durante tutta la giornata e consentire un risparmio energetico notevole. Non è un fatto secondario, così come la disposizione a seguire l'andamento delle curve di livello che definiscono la collina di Quezzi, costruendo un nuovo rapporto tra uomo e paesaggio, grazie all'architettura progettata da Daneri. Gambacciani, autore di Begato, rinnega ogni rapporto con il territorio disponendo i suoi edifici a coltello, ossia vere e proprie dighe, nonostante la denominazione del quartiere, Diamante, che denotano una scarsa attenzione per il luogo. Un'altra differenza tra i due quartieri è la diversa gestione nelle assegnazioni degli alloggi. Come si può imporre un ensemble formato da cittadini con problematiche sociali differenti (prostitute, spacciatori, portatori di handicap, anziani, giovani…) e pensare che costituiscano una comunità?
Indubbiamente ci sono stati molti errori politici e l'assenza di servizi sociali adeguati ad aiutare i cittadini in difficoltà è stato determinante nel decretare il successo o il fallimento del quartiere.
Non possiamo dimenticare il contesto di scontro politico presente negli anni settanta tra estrema destra e sinistra. Quartieri come Begato, Corviale, Zen, Gallaratese hanno convissuto, fin dalle origini, con problemi legati alla sicurezza dove la criminalità ha imposto leggi alla maggioranza dei cittadini. D'altro canto insistere sull'equivalenza quartiere residenziale=ghetto significa annullare il futuro per questi luoghi senza possibilità di riscatto, in questo senso il ruolo dell'architetto è importante nel ricostruire lo spazio fisico e mentale dei quartieri residenziali e dei suoi abitanti. Begato rimane una zona bianca su cui amministratori e imprenditori devono intervenire per ripensare gli spazi architettonici per e con gli abitanti, ma occorrono le risorse economiche per attuare una progettazione che migliori lo status quo.
Il compito dell'informazione dovrebbe essere quello di evitare il qualunquismo e le delegittimazioni dei cittadini che abitano un quartiere, sia esso borghese (Albaro) o popolare (Begato, Biscione) in funzione di una propaganda politica asfittica che mira solo a distruggere e non criticare in modo costruttivo e propositivo. Lo scorso dicembre la giunta regionale ligure ha varato una serie di provvedimenti per i quartieri residenziali delle città, tra cui Begato, stipulando una convenzione con il Ministero delle Infrastrutture per sbloccare i contratti di quartiere che riguardano l'intera regione. Provvedimenti analoghi sono stati adottati dalla Regione Lazio per soddisfare l'emergenza abitativa attraverso finanziamenti e costruzione di nuovi alloggi a canone moderato, una nuova sensibilità politica pare scorgersi all'orizzonte.
Dal 2002 plug_in.laboratorio di architettura e arti multimediali (insieme a Luisa Siotto e Alessandro Lanzetta) si occupa di ridefinire l'immaginario collettivo del Biscione, ossia la percezione da parte dei suoi abitanti e del resto della città. L'operazione culturale nasce insieme ad Andrea Botto col quale realizziamo una campagna fotografica e relativa mostra all'interno degli spazi del Biscione proseguita nel 2004 con l'organizzazione di un happening per e con gli abitanti dal titolo «Pic-nic al Biscione». «Dal 1956 il Biscione è città», è questo lo slogan che accompagna l'iniziativa che, accogliendo con grande interesse l'invito a partecipare alla mostra Empowerment/Cantiere Italia,organizzata dal Museo d'Arte Contemporanea Villa Croce in collaborazione con il Centro della Creatività e curata da Marco Scotini. L'evento consiste in un «pic-nic» durante il quale gli abitanti del quartiere offrono da "mangiare e bere" agli ospiti, un atto che, come in ogni festa, costituisce pretesto per lo scambio e l'incontro in una situazione di convivialità.
In mostra abbiamo raccolto i racconti del concorso «Dieci righe per il mio quartiere» a cui hanno partecipato gli abitanti; i disegni e i pensieri realizzati dai bambini dell'Asilo nido Eolo, della Scuola Materna E.Montale, della Scuola Elementare G.Borsi.
Vengono presentati due video, il primo «Una giornata al Biscione» testimonia, attraverso le interviste agli abitanti la qualità del vivere una realtà troppo spesso considerata marginale e periferica. Il secondo video racconta il quartiere dal punto di vista architettonico attraverso le interviste a Eugenio Fuselli (coordinatore dei progettisti insieme a Daneri), Aldo Aymonino, Pippo Ciorra, Mosè Ricci. Finalità del progetto è attivare un approccio analitico ai problemi delle periferie e alla loro tematizzazione che sappia partire dalla valorizzazione delle risorse sociali dei quartieri stessi, stimolando eventi partecipativi e coinvolgendo le associazioni di volontariato e le istituzioni scolastiche che già operano sul territorio.
Ripensare il quartiere, dunque, non come atto conseguente ad interventi che calano dall'esterno quanto piuttosto come esito dell'azione, della capacità espressiva e propositiva, degli stessi abitanti.

Perché è con l'agire che diviene possibile re-impossessarsi del proprio territorio, ritrovare una nuova qualità e consapevolezza dell'abitare. Affermando con ciò un'identità a partire dalla quale diviene possibile relazionarsi con l'altro e, superando distanze solo apparenti, riconnettersi agli altri quartieri, al resto della città.
Architetto, plug_in

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