Blair: «L’invasione in Irak l’avrei fatta in ogni caso»

LondraDestituire Saddam Hussein è stato giusto, anche se il dittatore iracheno non aveva le armi di distruzione di massa. Ad affermarlo è l’ex primo ministro britannico Tony Blair, a soli due giorni dal discorso del premio Nobel per la pace Barack Obama sulla necessità della «guerra giusta». In attesa di essere ascoltato nell’inchiesta pubblica aperta nel Paese sulla legittimità del conflitto iracheno, l’ex premier laburista ha concesso un’intervista alla Bbc che andrà in onda oggi, ma è stata anticipata dai giornali di ieri. Blair ha sempre dimostrato una ferma coerenza per quanto riguarda la sua decisione di attaccare l’Irak. Nel 2003 il partito si spaccò sulla questione e non c’è dubbio che l’appoggio armato agli alleati americani sia alla fine costato il posto all’ex primo ministro, che però non è mai tornato sui suoi passi. Anche dopo aver ammesso di aver passato giorni terribili, ha sempre sostenuto che senza Saddam il mondo è un posto migliore. Nel frattempo è emerso che l’Irak non possedeva armi di distruzione di massa, il motivo addotto dal governo inglese per giustificare l’entrata in guerra. Blair ha dovuto ammettere il pasticcio del rapporto gonfiato dai servizi segreti. Al giornalista della Bbc che gli ha chiesto se, avendo saputo allora che non esistevano armi nucleari, avrebbe cambiato i suoi piani, ha risposto risoluto: «Avrei continuato a pensare che era necessario destituirlo. Certamente avremmo dovuto usare argomenti differenti per spiegare la natura della minaccia che il dittatore rappresentava. Mi riesce ancora molto difficile credere che saremmo stati meglio con lui e i suoi due figli al potere, ma certo si è trattato di una decisione incredibilmente difficile. Per questo comprendo le persone che erano contro la guerra ieri e lo sono oggi. Per quanto mi riguarda però era una decisione che dovevo prendere». Sembra più facile per Blair parlare adesso. Manca un mese alla sua deposizione nell’inchiesta che lo vede suo malgrado protagonista eppure l’ex ministro è apparso abbastanza rilassato. Forse perché in suo aiuto sono giunte le parole del presidente Obama, inatteso e contestato premio Nobel per la pace che proprio alla consegna della medaglia ha parlato di «guerra giusta» riferendosi a quella che si sta combattendo contro Al Qaida in Afghanistan, dove stanno per arrivare 30mila nuovi soldati americani. «Sono il capo di una nazione nel mezzo di due guerre - ha detto a Oslo -. Ho mandato rinforzi in Afghanistan, uomini che uccideranno e saranno uccisi perché il Male sulla Terra esiste e così come fu giusto combattere contro Hitler oggi è giusto combattere contro estremisti violenti che stravolgono il messaggio della religione islamica». Insomma, le guerre non sono tutte uguali, fa capire il neopresidente americano, ci sono quelle di aggressione e di difesa. Quelle contro il terrorismo appartengono alla seconda categoria. Ed è anche una questione di responsabilità: il dovere di decidere che ogni leader politico ha quando si trova alla guida del proprio Paese. La stessa responsabilità che Blair non ha mai rinnegato e che ora diventa per lui un fardello più leggero da portare se condiviso con Obama. Le parole del presidente americano sono state pronunciate con tempismo perfetto, proprio nel momento in cui mezza Gran Bretagna punta ancora un dito accusatore contro Blair. A difendere l’ex premier laburista anche il ministro degli Esteri iracheno Hoshyar Zebari, un ex ufficiale curdo. Negli anni ’90, Saddam sterminò il suo popolo usando armi chimiche.

«Come tutte le persone che hanno sofferto a causa del regime di Hussein - ha dichiarato - sostengo la decisione di Blair. Credo che ne sia valsa la pena perché la dittatura di Saddam era un affronto alla comunità internazionale».

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