Blair rassegnato congela il referendum sulla Costituzione Ue

Ma al summit comunitario del 16 e 17 giugno Londra chiederà ai partner di assumere una decisione comune sul futuro del documento

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Erica Orsini

da Londra

L’annuncio ancora non è ufficiale, ma è solo una questione di tempo. A meno che Tony Blair non riesca, con una manovra elegante e astuta, a uscire dall’impasse in cui l’hanno costretto i due “no” di Francia e Olanda, sulla Costituzione europea al governo di Londra resta poca scelta. Così, già ieri alcune fonti d’agenzia davano per scontato il congelamento del referendum britannico a tempo indeterminato. La relazione ufficiale del ministro degli Esteri sull’argomento è attesa per lunedì prossimo alla Camera dei Comuni e da alcune indiscrezioni trapelate dal Foreign Office la decisione potrebbe essere resa nota in questa sede.
«Questo voto solleva ora questioni profonde per noi tutti sulla direzione che l’Unione Europea dovrà prendere in futuro», aveva già detto ieri Straw commentando il secondo rifiuto al trattato, senza però chiarire quale fosse la risposta che il suo governo intendeva dare a questi risultati. Ed è ovvio che, a meno di un mese dall’inizio del suo semestre di presidenza dell’Ue, Londra non è affatto impaziente di dover annunciare per prima che questa Costituzione è morta e di conseguenza non va votata. Si tratta tuttavia di un’opzione che il primo ministro Blair sarà costretto a prendere in seria considerazione. Lo farà a malincuore, dato che il leader laburista è stato tra i primi a spingere per l’approvazione del trattato, considerato «una buona cosa per la Gran Bretagna e per l’Europa».
Il rischio di una sospensione del voto era rimasto nell’aria, soprattutto visto che gli inglesi sono sempre stati molto più euroscettici dei cittadini dei Paesi che si sono appena espressi. Per questo, pur avendo annunciato in passato che il referendum si sarebbe tenuto nel 2006, poco prima delle elezioni il caso “Europa” era praticamente scomparso dalla campagna elettorale blairiana, per poi riapparire subito dopo con la solita rassicurazione. «Andremo avanti per la nostra strada, indipendentemente dai risultati degli altri» aveva dichiarato Blair, qualche giorno prima del referendum francese. Adesso però che i “no” sono già diventati due il rischio, anzi, la quasi certezza di un terzo, cambiano la prospettiva delle cose. Presentarsi in Parlamento con una legge che consenta di indire la campagna referendaria appare ora una mossa troppo azzardata. Blair potrebbe però tentare una “terza via”, più diplomatica del rinvio e senza dubbio più comoda per lui.
«La Gran Bretagna non dichiarerà unilateralmente estinta la Costituzione europea - ha infatti dichiarato ieri il ministro inglese per l’Europa Douglas Alexander - e ricercherà il consenso di tutti i suoi partner sulla via da percorrere». Le parole di Alexander potrebbero significare che, nelle prossime due settimane, prima del summit del 16 e del 17 giugno, Blair farà di tutto per salvare la faccia cercando di convincere i suoi colleghi europei a non lasciarlo solo nell’ardua decisione. Se quindi il documento va accantonato, che a dirlo non debba essere soltanto il governo inglese.
E mentre Bruxelles è in subbuglio, in patria l’opposizione politica non nasconde la sua ostilità al trattato. «Il voto di francesi e olandesi è stato la sentenza di morte della Costituzione», ha dichiarato ieri Liam Fox, portavoce dei conservatori.

A volere testardamente il referendum sembra ora essere soltanto una parte della stampa. Non tanto quella che crede nella bontà del trattato, quanto chi vorrebbe assistere in diretta all’umiliazione delle speranze europeiste di mister Blair.

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