Bnl: 31 indagati per la fallita scalata del 2005

da Milano

«È uno sforzo mostruoso, ma ne vale la pena. Se ce la facciamo abbiamo recuperato un pezzo di storia». Così, in una telefonata intercettata dagli investigatori, parlava Giovanni Consorte. È il 7 luglio 2005, l’estate delle scalate bancarie. Unipol, compagnia assicurativa nata dal movimento cooperativo, sogna il grande colpo. Il boccone è di quelli che sparigliano il piatto della finanza: Bnl, la Banca nazionale del lavoro, per la quale - nel marzo dello stesso anno - il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, gruppo bancario multinazionale spagnolo, annuncia un’offerta pubblica di scambio. All’insaputa dei movimenti che, nel nome dell’italianità del sistema, stanno portando Bnl sotto il controllo di via Stalingrado. Quello «sforzo» frana sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. E, ieri, i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano hanno notificato l’avviso di chiusura indagini a 31 persone fisiche e 14 giuridiche. Le accuse formulate dalla Procura sono, a vario titolo, di aggiotaggio, insider trading e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza.
Un atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, che il pubblico ministero Luigi Orsi dovrebbe avanzare entro la fine di marzo. Sarà il giudice per le udienze preliminari, in un secondo momento, a decidere per un eventuale rinvio a giudizio degli indagati. Per Consorte e «soci», quindi, si fa sempre più concreta la possibilità di dover affrontare un processo. E i nomi elencati dalla Procura sono quelli che hanno animato l’estate dei «furbetti». Su tutti, oltre a Consorte, spiccano quelli del suo vice Ivano Sacchetti, di Gianfranco Boni e Gianpiero Fiorani (protagonisti della fallita scalata della Banca popolare italiana, ex Lodi, su Antonveneta), del raider bresciano Emilio Gnutti, degli immobiliaristi Danilo Coppola, Stefano Ricucci e Giuseppe Statuto, del parlamentare europeo dell’Udc Vito Bonsignore (all’epoca, membro del contropatto nella banca con gli immobiliaristi capitanati da Gaetano Caltagirone, anch’egli raggiunto dall’avviso di conclusione indagini) e dell’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio e dell’ex capo della vigilanza di palazzo Koch Francesco Frasca. E furono proprio Fazio e Frasca, scrive il Pm nell’atto che chiude l’inchiesta, a «istigare, promuovere e assecondare» l’idea di costituire una cordata italiana che contrastasse illecitamente l’iniziativa degli spagnoli di Bbva.
Quattordici, infine, le società che sono chiamate a rispondere di violazione della legge 231 del 2001 sulla responsabilità per i reati commessi dai propri dipendenti.

Tra queste, oltre ovviamente a Unipol, anche Banca popolare italiana, Banca Carige, Banca popolare di Vicenza, Banca popolare dell’Emilia Romagna, Hopa, Banca Nomura, Deutsche Bank Ag London e Credit Suisse International.

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