Antonio Lodetti
Bob Marley è un mito perché è un antidivo. Spesso le stelle del rock si trasformano in supervenditori e vengono ricordate soprattutto per il valore economico. Non così Bob Marley, il re del reggae e cantore dei Rasta, vate del riscatto dei neri, che questanno (non fosse stato stroncato da un tumore nel 1981) compirebbe sessantanni. Dopo il gigantesco concerto di Addis Abeba per festeggiare il suo compleanno (tra gli artisti anche Carmen Consoli), ora la moglie Rita cura luscita del cd Bob Marley & The Wailers: Africa Unite.The singles collection, raccolta di tutti i singoli dellartista più linedita Slogans, scritta e registrata da Marley su un piccolo registratore, nel 1979 in un hotel di Miami, e ora riarrangiata con la complicità della preziosa chitarra di Eric Clapton. Il nastro, presentato lanno scorso a New York durante una cena alla Rock and Roll Hall of Fame, ha folgorato Clapton (che già ai tempi scippò la marleyana I shot the sheriff in un megasuccesso pop)che ha immediatamente inciso alcuni assolo di chitarra, poi registrati e mixati sulla copia originale. «È più attuale che mai - sottolinea emozionata Rita Marley parlando della canzone - perché Bob è tra noi, sta ancora protestando, parlando in nome di tutte le persone che subiscono ogni giorno abusi e ingiustizie. È incredibile, una sensazione stupenda». Slogans sarà anche un video, in rotazione dalla settimana prossima su Mtv, che unisce ai suoni sincopati del reggae drammatiche immagini di attualità. Inedito, nel suo genere, anche linno di battaglia Africa Unite qui rivitalizzato dalla voce di Will a.m. dei Black Eyed Peas.
In unantologia da affiancare alle precedenti Legend e One love, parte la sfilata dei suoi umori, che mescolano le radici caraibiche del calypso e dello ska con quelle neroamericane del blues e del doo woop, furori profetici e ballabilità, spirito ribelle e voglia di riscatto. Sintrecciano così 2, antico vagito dun giovane Marley prodotto dal sacerdote reggae Lee Scratch Perry; gli acerbi classici Soul shakedown party e Lively up yourself tratti da African herbsman; la prima versione della battagliera Concrete jungle, poi remixata nel disco Catch a fire per il suo debutto con una grande etichetta come la Island, fino ad arrivare a One love/People get ready, cartolina illustrata di una Giamaica tutta da scoprire.
Quella Giamaica che - ispirato da Jimmy Cliff - Marley voleva ricongiungere allAfrica con un misto di ritmi coloriti, sensualità, ritualismo (la «ganja», ovvero la marijuana che «avvicina agli dei» ed è considerata un sacramento), mistica millenaria. Il reggae comincia a prendere piede nel 1967 grazie alle canzoni di Prince Buster, Desmond Dekker e Johnny Nash. Questultimo ottiene un successo clamoroso con Hold me tight mentre Dekker, con 007 (Shanty town) sfonda nelle classifiche cantando la dura vita dei «rude boys», i bambini di strada di Kingston.
Ma Marley è qualcosa di diverso, uno strambo capopopolo che fa più proseliti del leader nazionalista nero Marcus Garvey, che infiamma il sogno dei Rasta - discendenti di re Salomone e figli fedelissimi del negus dEtiopia Hailé Selassié - di tornare nella terra promessa dAfrica. Non è un caso che quando nacque, nel ghetto di St.Ann, la madre raccontò che «aveva negli occhi il fuoco del predicatore» e il nonno negromante sognò che «il diavolo voleva quel bimbo».
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