Da Bobbio a Pontremoli per rivivere la Storia

La «Francigena di montagna», da Bobbio a Pontremoli tra i crinali delle valli del Taro e del Ceno, del Nure e del Trebbia, anche conosciuta come «Via degli Abati» sta vivendo intensa riscoperta. È un modo per rivitalizzare l'Appennino.
In estate vi si è svolta la maratona «The Abbots Way», una due giorni con duecento partecipanti e sosta notturna a Bardi. Il successo ha stimolato l'ideazione di un trekking di quattro giorni a fine giugno, da luglio a settembre c’è stato spazio per la mountain bike; numerosi gli escursionisti scout, pronti a coniugare ricreazione nella natura e apprendimento poiché il cammino è in luoghi ricchi di storia. Pontremoli, un libero comune opposto ai Malaspina, nel 1167 contrastò il passaggio del Barbarossa; Bardi, fortezza di fondazione longobarda costruita nell'898 su uno sperone di diaspro rosso, sorse per contrastare l'invasione degli Ungari; Borgo Val di Taro fu una delle curtis più redditizie del monastero bobbiese; a Bobbio nel 614 San Colombano, grande abate irlandese e padre con San Benedetto del monachesimo europeo, fondò il monastero, prima Abbazia regia dei Longobardi per l'importanza strategica.
Il percorso, riattato già per il Giubileo del 2000, è costellato di muretti a secco, costeggia chiese antecedenti l'anno mille, stalle in legno del periodo agricolo, vie belliche di fuga o resistenza. È agibile a piedi, in bici, a cavallo. Passa per cinque castelli, sei musei, l'osservatorio astronomico di Bedonia, un'oasi di 600 ettari del WWF (a Borgo Val di Taro). Nelle locande si gustano dai testaroli, tipici della Lunigiana, ai porcini cucinati variamente, ai pisarei e fasö del piacentino, alle lumache alla bobbiese.
Nel 2006, Giovanni Magistretti ha descritto «La via degli Abati» nell'LVIII volume dell'Archivio Storico per le Province Parmensi (come a dire il Gotha della ricerca). Già dirigente d'azienda nel settore alimentare, è appassionato di storia ma anche escursionista che verifica sul campo la teoria. Segnala che il percorso è di 105 chilometri rispetto ai 214 (più del doppio) della «Via dei Monasteri», la Francigena che oggi conosciamo perché Sigerico tornando da Roma (990/94) la commentò nel suo diario di viaggio. L'Arcivescovo di Canterbury, giunto a Pontremoli, scelse la via del passo della Cisa (monte Bardone) per raggiungere la pianura di Fidenza, Piacenza, Pavia. Invece prima della conquista della «Maritima» ligure da parte del longobardo Rotari e della Cisa (controllata dai bizantini) nell'VIII secolo, gli abati di Bobbio diretti a Roma, il traffico delle merci da e per il monastero, i pellegrini irlandesi che sostavano nella città emiliana a venerare la tomba del Santo, passavano per la «Francigena montana»: da Bobbio a Boccolo dei Tassi a Bardi, dove il cammino entrava nella Via dei Monasteri. E solo dal 1200 la Valtrebbia fu esente dai pedaggi di signorotti locali.
Magistretti ricorda anche l'internazionalità degli abati di Bobbio, tra cui Wala un cugino di Carlo Magno e il francese Gerberto, eletto papa Silvestro II nell'anno mille.

La sua ricerca però non si ferma, ipotizzando l'appartenenza alla «Via michaelica» che collegava il santuario del Gargano a Mont Saint Michel sulla Manica, per la presenza lungo l'itinerario appenninico di luoghi dedicati al Santo di cui i longobardi erano devoti: San Michele di Gravago e San Michele di Grezzo a Bardi.

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