Sessantanni di calcio al massimo, di cui quasi venti convivendo con il cancro. Dietro al tranquillo sorriso di Sir Bobby Robson, spentosi a 76 anni a casa sua davanti alla moglie Elsie e ai tre figli, cera lInghilterra vera. Quella dei ragazzi della working class che diventano idoli del loro mondo: imparando lingue e allargando le conoscenze, ma senza perdere di vista il punto di partenza. Papà minatore, lui elettricista fino al primo contratto da calciatore professionista, Robson nasce come centrocampista offensivo: stella del Fulham e del West Bromwich Albion, si guadagna anche il Mondiale 1958 con la nazionale di Winterbottom prima di diventare allenatore. Qualche mese ai Vancouver Royals della NASL e un anno con il Fulham, poi nel 1969 sale sul treno dellIpswich creando una delle più britanniche fra le squadre britanniche anni Settanta, mito ancora adesso delle fanzine di settore.
Una FA Cup nel 1978 e la Coppa Uefa 1980-81, con due secondi posti nel massimo campionato e tanti giocatori da nostalgia canaglia: Terry Butcher, John Wark, Paul Mariner, Arnold Muhren, Alan Brazil. Nel 1982 tocca proprio a Robson sostituire sulla panchina dellInghilterra Ron Greenwood. I suoi due Mondiali rimarranno nella storia anche senza coppa alzata: Mexico 86, eliminato nei quarti dal gol più furbo e dal gol più bello di tutti i tempi, Italia 90 con lamarezza dei rigori in semifinale. Dopo le notti magiche torna nei club: PSV Eindhoven, dove vince due campionati, poi Sporting Lisbona dove viene esonerato. Si vendica andando al Porto a conquistare altri due titoli nazionali.
Lo ingaggia il Barcellona: nel 1996-97 con il miglior Ronaldo e forse il miglior Robson di sempre arrivano Coppa delle Coppe e Copa del Rey, ma la Liga va al Real di Capello. Un breve ritorno al PSV prima di far risorgere il Newcastle, portato dal fondo della Premier League al terzo posto. Infine il lavoro per la sua fondazione benefica e la lotta con la malattia. Riuscendo sempre a farsi apprezzare sia dagli appassionati sia dai colleghi che lo hanno conosciuto bene: da Alex Ferguson a José Mourinho, prima suo interprete a Lisbona e poi assistente al Porto e al Barcellona («Un uomo dalla straordinaria passione, che ha dato tanto a chi ha avuto la fortuna di percorrere un tratto di strada con lui», così lo ha ricordato lallenatore dellInter).
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