Silvia Giacomoni, moglie di Giorgio Bocca, è titubante. Ha due paure e non vorrebbe parlare. Teme la titolazione del Giornale. E teme di essere irrispettosa nei confronti «del Bocca», mettendosi a chiacchierare «della nostra vita privata» a pochi giorni dalla sua morte. Però ormai è al telefono e qualcosa concede. Devo verificare una notizia, dico io. «Quale sarebbe questa notizia?». Che, poche settimane fa, lei e Bocca vi sareste sposati in chiesa.
Silvia Giacomoni è stata per molti anni la compagna del Provinciale. Una compagnia discreta e rispettosa, con dieci anni di differenza e una certa gelosia ognuno dei propri spazi e delle proprie abitudini. Quando nacque Repubblica fu lui a convincerla al giornalismo. Ora, al telefono, lei non smentisce l’informazione. Anzi, la avvalora. E il fatto sorprende ancor più perché nelle commemorazioni che il suo giornale ha dedicato alla sua grande firma non se n’è trovata traccia. Certo, Giacomoni non dà particolari, non dice quando e dove. Se a Milano o a La Salle, in Val d’Aosta. E prova a ritrarsi: «Mi sento un po’ confusa. Ho difficoltà a parlare di un argomento tanto delicato con un giornale che non lo è. Bocca mi ha insegnato che ai colleghi si risponde sempre. Ma non mi metto a raccontare che l’ho accompagnato all’altare. Però se tu fossi stato ai funerali avresti ascoltato un’omelia con dei contenuti precisi. Più che parlare con me bisognerebbe parlare con il sacerdote. Quella cerimonia voleva dire qualcosa». Immagino ci sia stato un percorso... «Figuriamoci se avrei potuto far celebrare il funerale in forma privata di mia iniziativa...».
Nelle ultime interviste Bocca manifestava, sempre nel suo modo brusco e contraddittorio, un avvicinamento a un certo senso religioso. A Gabriella Colarusso di Lettera 43 che nell’aprile scorso lo interpellava sull’importanza della Costituzione rispose: «Della Costituzione italiana me ne frego. A me importa della costituzione morale. Credo di più al Vangelo che non alla Carta. Mi sembra più convincente, perché nel Vangelo c’è qualcosa di divino che nelle costituzioni liberali non c’è». Crede in Dio?, lo incalzò la collega. «No perché non l’ho mai incontrato. Possibile che questo Dio così potente non abbia mai trovato il tempo di manifestarsi?». E allora che cos’è questo divino a cui si riferisce? «Quello che vorrei che ci fosse. Ma sono ancora alla ricerca». Nella stessa conversazione si definiva così: «Dal punto di vista morale sono un po’ vigliacco, sono molto cattolico: la penitenza, la confessione». Insomma, un rapporto travagliato con il cristianesimo. Fattosi forse più essenziale negli ultimi anni.
Nel crepuscolo dell’esistenza terrena le faccende dell’anima si fanno stringenti anche per gli intellettuali, per i temperamenti indòmiti, per coloro che in vita, sostenuti dai doni della natura, hanno sempre inalberato un certo orgoglio e una certa alterigia. È successo anche a persone apparentemente molto lontane come Antonio Gramsci o Leonardo Sciascia, come lo stesso Montanelli o Giorgio Caproni, di accostarsi a una dimensione religiosa se non proprio alla fede.
Forse la ricerca di cui Bocca stesso parlava negli ultimi tempi l’aveva portato a un avvicinamento. «A suo modo, cattolico lo è sempre stato», riflette Giacomoni. «Di educazione, s’intende. Un cattolicesimo pre-Concilio Vaticano II. Quando l’ho conosciuto, accompagnava sua figlia a scuola dalle suore. Non è mai stato un mangiapreti, semmai lo ero io.
Inutile insistere. La richiesta di un incontro non è accolta: «È troppo presto...».
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