Milano - L’ordine è venuto direttamente da Ilda Boccassini, procuratore aggiunto della Repubblica e capo della Dda, la Direzione distrettuale antimafia milanese: «staccare» i telefoni, sospendere le intercettazioni. Nel mirino della Boccassini, una lunga serie di indagini per traffico di droga, alcune recenti, altre che si trascinavano da tempo. In questi casi, secondo la dottoressa, il gioco non vale la candela: il costo in termini di quattrini e di uomini non è giustificato dai risultati che si possono raggiungere.
Meglio, dice Ilda Boccassini, alzare il tiro e concentrare gli sforzi sulla caccia alle grandi organizzazioni mafiose, Cosa Nostra e ’ndrangheta calabrese in testa. Se le inchieste in corso non hanno ancora raggiunto alcun obiettivo, ha deciso la Boccassini, bisogna chiuderle e dedicarsi ad altro. Così, uno dopo l’altro, gli orecchi elettronici che ascoltavano in diretta le chiacchierate di narcos veri o presunti sono stati disattivati.
La scelta voluta dal procuratore aggiunto è figlia della scarsità di risorse, sia umane che economiche, in cui da tempo si dibattono gli uffici giudiziari. Il costo delle intercettazioni, in particolare, è uno dei versanti su cui il ministero della Giustizia preme da tempo perché si vada ad una politica di contenimento. La coperta è troppo corta, e da qualche parte dunque bisogna scegliere di tagliare. A fronte di questa emergenza, il pensiero della dottoressa, in sintesi, è: noi siamo il pool antimafia e dobbiamo occuparci di mafia. Occupare il nostro tempo dando la caccia a piccole bande di trafficanti ci fa sprecare soldi e fatica, e ci distoglie dall’obiettivo principale, cioè fare terra bruciata intorno al Gotha del crimine organizzato.
Si tratta di una scelta che non tutti gli «addetti ai lavori» hanno digerito volentieri. Anche perché arriva in un momento in cui il narcotraffico sta tornando prepotentemente a fare sentire la sua voce a Milano. Degli ultimi mesi è un fenomeno inatteso: il ritorno in scena dell’eroina, la droga che tra gli anni Ottanta e Novanta riempiva Milano di morti, e che sembrava definitivamente uscita di scena. La diffusione massiccia, in tutte le fasce sociali, della cocaina aveva assorbito per intero gli interessi della malavita organizzata. Invece la «roba» è tornata a Milano. Le rotte che in passato portavano in Lombardia l’eroina prodotta tra Pakistan e Afghanistan sono state riattivate, e sono tornati a operare gli spacciatori al dettaglio. I tre morti per overdose registrati a Milano la scorsa settimana ne sono la drammatica conferma.
Interrompere o ridurre le attività di intercettazione, in questa situazione, potrebbe sembrare una decisione ardita. Ma i vertici della Procura sembrano convinti di avere fatto la scelta giusta. Bisogna, ritengono, ridurre i «73 e i 74», come vengono chiamate in gergo le indagini per traffico di droga e per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, «che sono come svuotare il mare col cucchiaio», e alzare il tiro contro i signori del crimine organizzato.
Nell’ultima relazione del procuratore generale Manlio Minale, in realtà, si può notare come le inchieste per associazione mafiosa siano lievemente diminuite come numeri assoluti (32 contro le 38 dell’anno precedente), ma tra di esse ci sono inchieste gigantesche come quella chiamata «Infinito», che ha spedito in cella centinaia di appartenenti alle «famiglie» calabresi di tutta la regione. Mancano invece, nella relazione di Minale, i dati sulle inchieste per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, e quelle per semplice traffico di droga.
Ma la linea di Ilda Boccassini è chiara: degli spacciatori e dei piccoli trafficanti si occupino gli altri colleghi della Procura, noi dobbiamo aggredire i vertici dei clan, individuandone i canali di riciclaggio nell’economia «pulita» e i legami con la politica.
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