Per un grazioso gioco del destino, Fabiano Fabiani deve la prima e l’ultima fase della sua annosa carriera alla schiatta dei Veltroni.
A 25 anni esordì giornalista nel primo Tg della Rai diretto da Vittorio Veltroni, dc di obbedienza fanfaniana. A 77 anni - in settembre - è stato piazzato nel Cda della Rai da Walter, figlio di Vittorio e noto ds, nella cui manica è da tempo. Due generazioni di Veltroni, dunque, al servizio dei trascoloramenti politici di Fabiani, dei suoi inesausti appetiti di potere, delle sue fresche ambizioni di mezzo secolo fa e delle velleità in cartapecora di oggi.
Fabiano è il più longevo boiardo di Stato del globo, Cina esclusa. Cade quest’anno il cinquantaduesimo genetliaco del suo ingresso nei carrozzoni pubblici di cui è l’inamovibile emblema. Dopo la Rai, raggiunse lo zenith con la presidenza di Finmeccanica a metà degli anni Ottanta. La abbandonò con la morte nel cuore dieci anni fa, cacciato dal premier, Romano Prodi, che pure si proclamava suo amico. Da allora, anziché invecchiare serenamente, ha cercato la protezione dei giovani romani emergenti.
Trovò un primo sostenitore in Ciccio Rutelli, sindaco di Roma, che gli dette un paio di incarichi minori, tra cui la presidenza di Cinecittà. Poi, tra loro qualcosa si ruppe per ragioni ignote e si attaccò a Veltroni divenuto a sua volta sindaco di Roma. Grazie a lui, ebbe la nomina alla presidenza dell’Acea, falansterio comunale di gas ed elettricità. Ma l’amicizia del sindaco indispettì l’ex sindaco, per la nota rivalità che divide i due galletti romani della sinistra brioche e Seicelle. Così Rutelli, tutte le volte che Fabiani si è fatto avanti spinto dall’ansia di poltrone, lo ha mazzolato sui garretti.
Ora, prima di proseguire con la storia di Fabiano Fabiani, vorrei liberarmi - e liberarvi - dalla monotona ripetizione dei suoi nomi gemelli. Ci soccorrono i suoi due soprannomi. Il primo è l’Etrusco, che gli deriva dalla nascita a Tarquinia, 60 chilometri da Roma, antica colonia della misteriosa etnia. Fabiani è il classico etrusco delle terrecotte: faccia a uovo, naso aquilino, occhi sporgenti. L’altro è Spazzoletta, allusione al taglio scimitarrico dei capelli che li fanno somigliare ad aculei di carciofo, ortaggio largamente coltivato dalle sue parti.
Forti di queste acquisizioni, procediamo.
Nonostante fosse stato in qualche modo sistemato dai due sindaci romani, Spazzoletta fremeva per tornare sulla scena nazionale. Così, nel 2003, entrò nella terna per la presidenza Rai, con Paolo Mieli e Lucia Annunziata. Puntuale, piombò Rutelli - diventato leader della Margherita - e ne stroncò le ambizioni. Dalla lizza uscì poi malamente anche Mieli e sulla poltrona finì donna Lucia. Incassata la sconfitta, l’Etrusco si rimise in pista puntando al vertice delle Ferrovie dello Stato. Anche stavolta però, Cicciobello - quasi sul filo del traguardo - pose il veto, mostrandosi un perfido che cela tra le pieghe del Piacione gli artigli di una strega.
A tali delusioni, Fabiano ha reagito preparando accuratamente la sua recente rentrée in Rai. Il primo passo di avvicinamento, un anno fa, fu sostituire il neonominato direttore generale della Rai, Claudio Cappon - cui lo legano rapporti quasi di famiglia - alla presidenza dell’Apt, l’associazione che riunisce i produttori televisivi. Poi, ricevuta all’inizio dell’estate la telefonata del ministro Tommy Padoa-Schioppa che lo avvertiva di tenersi pronto a sostituire il consigliere Angelo Maria Petroni (gradito alla Cdl), è partito per Cortina di cui è un habitué. Qui, ha partecipato attivamente agli appuntamenti mondani di Cortinaincontri e ha parlato della Rai come se già ci avesse messo piede. Il sogno si è avverato il 10 settembre con la defenestrazione di Petroni e l’ingresso alla chetichella di Spazzoletta nel Cda.
Alle proteste del centro destra, che il cambio della guardia ha messo in minoranza, ha replicato la sinistra con un nutrito bla bla. Padoa-Schioppa, il più impudico, ha detto: «Fabiani svolgerà l’incarico con totale autonomia di giudizio e senza atteggiamenti di subalternità verso il centrosinistra». Insomma, a sentirli, l’Etrusco è una verginella. In realtà, è legato mani e piedi all’Unione: è il birillo di Veltroni; fa parte di un pool per il programma economico del Partito democratico; nel 2005 votò Prodi alle primarie, fingendo opportunisticamente di scordare l’ignominiosa cacciata dall’Iri di dieci anni fa. In conclusione, Spazzoletta è super partes come Di Pietro è accademico della Crusca.
Alla Rai, l’Etrusco ha amici e parenti. Gli amici sono figli e nipoti dei suoi ex colleghi di cinquant’anni fa, entrati in Azienda per diritto dinastico. Troppo lungo l’elenco per farlo. I parenti sono la moglie - la quasi coeva signora Lilli - factotum dell’ufficio stampa di Bruno Vespa a Porta a porta, e la nuora, Cecilia Valmarana, dirigente di Rai-cinema. Nonostante il nuovo incarico, Spazzoletta punta i piedi per restare presidente dell’Acea. Finora ci è riuscito, ma anche alla sinistra romana la pretesa sembra eccessiva e si moltiplicano le proteste. Vedremo quel che deciderà Walterino quando si rioccuperà di Roma tra un conclave e l’altro del Pd.
Per la maggiore parte della sua vita, Spazzoletta è stato un ferreo democristiano di sinistra. Quando debuttò in Rai, regnava Ettore Bernabei, seguace e corregionale di Amintore Fanfani. Bernabei aveva due pupilli, Biagio Agnes e Fabiani. I due hanno fatto carriere parallele all’ombra del Grantoscano. Lo stesso Bernabei, vedendoli procedere appaiati, li chiamava «Frutta e Verdura», come avrebbe potuto chiamarli «Sali e Tabacchi» o «Vitto e alloggio». Tutti e due divennero direttori del Tg e, lasciato il giornalismo, manager dell’Iri. Entrambi inoltre sono stati fedelissimi di Ciriaco De Mita. Agnes si può perdonarlo perché è anche lui di Avellino, Fabiani ne risponderà al Principale.
Vanto di Spazzoletta in Rai è avere inventato il mezzobusto tv. Fu lui ad affidare a giornalisti prime donne la lettura dei Tg, abolendo gli speaker tradizionali come l’indimenticabile e ossuto Paladini. Compiuta l’impresa, cominciò la gavetta da manager. Esordì con la vicedirezione generale della Rai. Nel 1978, appese il giornalismo al chiodo e passò all’Iri, dove era stato preceduto da Bernabei e sarà seguito da Agnes. Debuttò alle Relazioni esterne defenestrando Franco Schepis, altro ex giornalista Rai, che trovò rifugio come amministratore di Autostrade. L’anno dopo, Spazzoletta gli ripiombò addosso scippandogli l’incarico appena assaporato. Poi, passò alla Finmeccanica guidata da Franco Viezzoli che - dopo avergli affilato i canini per renderlo idoneo al mestiere - andò all’Enel cedendogli lo scettro. Dall'85 al '97, l’Etrusco maneggiò l’azienda a piacere. Fu lui a dare, per un boccone di pane, l’Alfa Romeo alla Fiat. Gli Agnelli furono preferiti alla Ford, che pagava sul serio, con la scusa dell’italianità. Il ratto - firmato Fabiani - fu supervisionato nel dettaglio dall’ineffabile Prodi, presidente dell’intera holding Iri.
Di carattere chiuso e sdegnoso, Spazzoletta eccelleva nelle manovre occulte. Magistrali le sue relazioni con i giornali. Per conto di De Mita chiedeva la testa dei cronisti che criticavano l’Irpino. Pretese anche lo scalpo di un caporedattore del Giornale, facendo una capa tanta a Montanelli durante le loro passeggiate a Cortina. Risultato: Indro promosse vicedirettore il caporedattore.
L’Etrusco si attaccò al telefono anche la sera che precipitò a Conca di Crezzo un Atr 42, trabiccolo insopportabile e rumoroso prodotto da Alenia, società di Finmeccanica, e dalla francese Aérospatiale. «L'Atr è un gioiello. Tutta colpa dei piloti», mentì Spazzoletta con tutti i giornali. L’inchiesta lo sbugiardò: ai piloti incolpevoli non era stato fornito il manuale per evitare le incrostazioni di ghiaccio che avevano fatto cadere l’aereo.
Chi abboccava sempre alle intemerate dell’Etrusco era Repubblica poiché il suo direttore, Eugenio Scalfari, lo teneva in palmo di mano. Era la sua talpa principe per le notizie economiche e avevano in comune l’adorazione per De Mita. Anche l’Espresso, stesso giro scalfariano, manteneva stretti rapporti con Spazzoletta. Tanto che si è sempre sospettato fosse lui il misterioso Minister che firmava una rubrica di indiscrezioni sul Consiglio dei ministri. Essendosi fatto fama di informatore segreto, Fabiani era temuto nei Palazzi e circondato da corposa diffidenza.
All’epoca, l’Etrusco aveva una corte che riuniva la domenica al bar in piazza Navona. Arrivava in bicicletta con l’inevitabile Lilli.
Tempi passati. Ora che non ha più l’età per pedalate e agapi all’aperto, Spazzoletta amministra con sapienza le sue forze per continuare a occupare poltrone.
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