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Bolivia nel caos, il presidente Mesa si dimette

I «cocaleros» scatenano la guerriglia nella capitale La Paz: vogliono le elezioni

Roberto Fabbri

Bolivia sull’orlo del collasso. Il presidente della Repubblica del più povero dei Paesi sudamericani, Carlos Mesa, ha presentato ieri le dimissioni per la seconda volta in tre mesi. Lo scorso marzo il Parlamento le aveva respinte, ma questa volta Mesa sembra determinato a gettare la spugna, di fronte al dilagare di disordini che ormai da settimane hanno trasformato il Paese andino in un caos ingovernabile.
«La Bolivia sta andando in pezzi - ha detto Mesa in un drammatico messaggio televisivo ai suoi connazionali -. Credo che la mia responsabilità consista nel dire che oltre non si può andare. La legge non viene rispettata e pochi pretendono di imporre le loro opinioni al resto della popolazione. È uno dei momenti più difficili della nostra storia».
Tornano alla memoria le immagini dell’ingloriosa fine del mandato del predecessore di Mesa, Gonzalo Sanchez de Losada, fuggito diciotto mesi fa in elicottero con la famiglia dal tetto del palazzo presidenziale e attualmente rifugiato in Florida. Ma Mesa ha detto di non voler fuggire le proprie responsabilità. «Attendo che il Parlamento decida sulla mia successione, non intendo andarmene a Washington o a Miami», ha dichiarato.
Intanto, però, la Bolivia precipita nel caos. I «pochi» che Mesa ha citato nel suo discorso stanno strangolando il Paese. Dopo due settimane di blocchi stradali e sabotaggi (il più grave quello dell’acquedotto che disseta la capitale La Paz) attuati dagli attivisti del «Movimento verso il socialismo» la capitale è allo stremo. Negozi e distributori di benzina chiudono per mancanza di rifornimenti e il clima sociale si deteriora rapidamente. Migliaia di contadini e minatori hanno raggiunto La Paz, dove già ci sono stati duri scontri con la polizia: i minatori hanno anche lanciato candelotti di dinamite.
Evo Morales, leader della protesta e del movimento che rappresenta la popolazione india numericamente maggioritaria ed economicamente in miseria, promette che il caos continuerà finché Mesa non si sarà effettivamente dimesso e non saranno state convocate nuove elezioni. Appena ieri al vertice dell’Organizzazione degli Stati americani (Oas), il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice aveva citato la Bolivia come esempio di Paese in grave crisi nel quale un intervento Oas sarebbe stato opportuno. Ma il ministro degli Esteri boliviano Ignacio Siles ha negato che un simile intervento sia necessario, pur ammettendo che «la situazione è assai delicata».
All’origine dei problemi della Bolivia c’è l’endemica povertà che ha stimolato l’abnorme diffusione delle piantagioni di coca, ma soprattutto la polemica sull’uso degli enormi giacimenti di gas naturale scoperti nel Paese. L’opposizione di sinistra vorrebbe che più ricchezza rimanesse in patria e rinegoziare i contratti con le compagnie straniere che sfruttano i pozzi.

Ma queste ultime, preoccupate, già meditano la fuga dalla Bolivia.

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