Stefano Filippi
nostro inviato a Bologna
Le ruspe contro le baracche abusive, la lotta al racket dei lavavetri, gli attriti con i centri sociali, i tafferugli sotto il municipio, i duri scontri nel centrosinistra, il Cofferati sceriffo fascista cileno. L'altro giorno il falso allarme bomba sotto la casa genovese della sua compagna. E ieri l’ordigno nell’ufficio del sindaco al primo piano di Palazzo d'Accursio, un pacco bomba uguale a quello scoppiato a casa di Romano Prodi quasi due anni fa. Stessa mano, quella degli anarco-insurrezionalisti che piombano nell’incandescente clima politico e sociale bolognese per esasperare i conflitti. L’ordigno non è deflagrato, avrebbe provocato una fiammata capace di produrre ustioni anche gravi a chi avesse maneggiato il plico, ma i terroristi hanno ugualmente raggiunto l’obiettivo. Sotto le Due Torri la tensione è altissima.
L’esplosivo era contenuto in una busta gialla imbottita destinata a Sergio Cofferati e spedita - così pare - a Milano. Ieri mattina l’involto è giunto, con la posta, in mano a una delle segretarie dell’ex leader Cgil. Sollevando il lembo della busta, la donna ha visto spuntare un filo elettrico e si è bloccata. Vincenzo Ciarambino, capo della Digos di Bologna, si è fiondato da Cofferati, un colloquio di dieci minuti verso mezzogiorno e mezzo, niente allarmi né sgomberi. Il pacco è stato preso in consegna dagli artificieri della polizia che l'hanno disinnescato di sotto, nel grande cortile-parcheggio transennato con il nastro biancorosso proprio di fronte alla sede dei vigili. Quaranta grammi di polvere pirica dentro una finta videocassetta collegati a una batteria, una molletta e un groviglio di fili tenuti insieme da nastro adesivo che avrebbero innescato la fiammata se l’orlo della busta fosse stato strappato. È quello che capitò il 27 dicembre 2003 a Flavia Prodi, che lacerò il pacchetto senza però ferirsi.
L’attentato è stato preceduto da una rivendicazione. Una lettera firmata dalla Cooperativa artigiana fuochi e affini (Fai) giunta ieri mattina nella redazione bolognese del quotidiano Repubblica, scritta con il normografo e intitolata «Operazione parchi puliti 2». «Bologna ondata buste esplosive in arrivo - vi si legge tra l’altro -. Apriamo la seconda fase della campagna parchi puliti contro le espulsioni. Buona caccia. Questo è solo l'inizio. Libertà per gli anarchici detenuti in Spagna, Germania, Grecia e Italia. Distruggere i Cpt», cioè i centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini. Uno dei tanti temi che da un anno contrappongono Cofferati a Rifondazione e alla sinistra antagonista.
La lettera, inserita anche nella busta esplosiva, rivela la presenza di altri due ordigni a Parma, nel bellissimo giardino di Palazzo Ducale a pochi metri dalla sede dell’Authority alimentare europea, del comando provinciale dell'Arma e soprattutto dei carabinieri del Ris, «gendarmi in camice bianco» che «hanno censurato o non sono stati in grado di riconoscere, nonostante la tecnologia che vantano, gli ordigni a loro diretti». Solo una delle due bombe, però, è stata ritrovata: dinamite e bulloni in un armadietto metallico con un contatore del gas.
Cofferati, che da anni gira con la scorta, non ha modificato la sua agenda. «Continuo a fare il mio lavoro, cos’altro dovrei fare: smettere?», si è limitato a dire prima di entrare in prefettura per la riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza. Al sindaco di Bologna è arrivata una larghissima solidarietà: Ciampi, Pera, Casini, Berlusconi («Grave atto intimidatorio»), numerosi rappresentanti del centrodestra e del centrosinistra (Rifondazione tra i primi). Una sola voce dissonante, quella del ministro leghista Roberto Calderoli: «Chi semina, o ha seminato, vento raccoglie tempesta.
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