«Bomba contro la guerra in Libia» Salvate le mani e la vista al parà

Evviva. Ecco finalmente i familiari di un soldato ferito mentre faceva il suo mestiere che non fanno la lagna e non hanno nulla da dichiarare alla stampa, tampoco a quelli della tele. I genitori e il fratello venuti da Taranto, nonché la moglie del tenente colonnello Alessandro Albamonte, ferito ieri l’altro dal pacco bomba anarchico recapitatogli in caserma a Livorno, hanno voglia di parlare solo coi medici fiorentini che hanno operato il parà e che ieri, dopo sei ore di intervento in cui si sono alternate tre equipe (chirurgia della mano, maxillo facciale e oculistica) sembravano francamente piuttosto soddisfatti. Intanto perché le condizioni fisiche dell’ufficiale si sono rivelate subito meno gravi di quel che sembrava all’inizio. Niente dita perse, per dire, come si era ipotizzato a precipizio ieri l’altro, nell’immediatezza del fatto. Anzi, la mano (delle due) più seriamente lesionata «potrà conservare la sua funzionalità», dice il dottor Massimo Ceruso, direttore della chirurgia della mano all’ospedale fiorentino di Careggi; e anche i danni all’occhio, se pure la prognosi resta riservata, non sembrano così tremendi come erano apparsi ieri, quando Albamonte era arrivato in ospedale col viso insanguinato. Paola, la moglie del capo di Stato Maggiore della Brigata Folgore preso di mira dagli anarchici della Fai, la federazione anarchica informale, può dunque tornare a sorridere. Lei, il suo bambino di 5 anni, anch’egli al capezzale del papà, e -se si può dire- quello che sta per nascere. Lui, il colonnello Albamente, già in emersione rapida dall’“incidente”, interessato solo a conoscere i dettagli delle operazioni cui è stato sottoposto e i tempi di recupero, anche se già gli hanno detto che dovrà sottoporsi in futuro ad altri interventi sia alle mani che all’occhio colpiti dall’esplosione.
Gli anarchici del Fai, schierati «contro l’impegno militare italiano nelle missioni in Afghanistan e in Libia», come recita la rivendicazione del gruppo, non ce l’avevano col colonnello Albamonte. Hanno tirato nel mucchio. Cercavano un simbolo da colpire, e il Capo di Stato Maggiore dei nostri parà sembrava ottimo alla bisogna.
I frammenti dell’ordigno e il tipo di materiale esplosivo usato, estratti dalla tuta del militare, sono adesso al vaglio del Ris di Roma. Gli investigatori parlano di una accensione a strappo, ovvero di una tecnica già sperimentata altre volte in passato dai bombaroli della grande A iscritta nel cerchio. La rivendicazione era all’interno della busta, in un foglietto arrotolato che si è salvato dallo scoppio e che ora è sotto la lente d’ingrandimento degli specialisti.
L’altro ieri, un’altra lettera esplosiva era stata inviata anche al direttore del carcere di Korydallos in Grecia: su questa (intercettata e disinnescata) si legge il mittente italiano, ovviamente di fantasia: Eurofor, via Aretina 354, 50136 Firenze. Una terza busta esplosiva, diretta alla Swissnuclear, la Federazione dell’industria nucleare svizzera, ha fatto invece due feriti tra gli impiegati che hanno maneggiato il plico. Tre «messaggi» per un unico filo conduttore che sembra portare dritto al pianeta anarchico toscano e ai collegamenti fra questo e le frange anarcoidi presenti in Svizzera e in Grecia. Chi potrebbe saperne di più sono i 19 soggetti, di età compresa fra i 19 e i 55 anni (le vecchie e le nuove leve del movimento) attualmente sotto processo a Firenze con l’accusa di associazione sovversiva.
Tutti e 19 sono accusati di aver fatto parte di un gruppo anarco-insurrezionalista che negli ultimi cinque anni ha messo a segno azioni contro centrali elettriche, banche, forze di polizia, caserme, carceri, redazioni di giornali, centri di accoglienza, partiti politici e istituzioni.

Gli episodi contestati vanno dal blitz contro la sede dell’Enel, avvenuto nel settembre 2006, quando un gruppo si presentò negli uffici sul lungarno Colombo al grido di «Enel assassina» e «No al nucleare», fino a episodi minori come le scritte minacciose comparse sui muri di Firenze.

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