La bomba Pisanu: «Tra Stato e cosche la trattativa ci fu»

RomaLe stragi del ’92 e del ’93, gli attentati contro i giudici Falcone e Borsellino, tutta la stagione del terrorismo mafioso furono messi in piedi da una «convergenza» di interessi che andavano molto al di là di Cosa nostra: coinvolgevano «altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, il mondo degli affari e della politica». Il presunto legame tra mafia e politica nei fatti sanguinosi di quel biennio compare con assiduità nella relazione di 35 pagine presentata dal presidente Beppe Pisanu alla commissione antimafia. Forse per la prima volta in questa sede si propone con insistenza un sottinteso «ricatto» alla base delle stragi mafiose: il legame tra le bombe e la richiesta di allentare il 41 bis (il carcere duro per i boss) e dunque «qualcosa» di simile a una «trattativa» tra Cosa nostra e i palazzi, oltre a una serie di agganci, contrattazioni «complesse e a tutt’oggi oscure, nelle quali entrarono a vario titolo, per convergenza di interessi, soggetti diversi, ma tutti dotati di un concreto potere contrattuale da mettere sul piatto».
È a suo modo una bomba, la relazione di Pisanu. Perché, anche se solo in forma di ipotesi, delinea il contatto, il legame tra l’antiStato e lo Stato. La ricostruzione di quegli anni arriva, poi, per una coincidenza di date, all’indomani della sentenza di condanna in secondo grado a 7 anni per Marcello dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Sentenza che ha paradossalmente smontato la tesi di un presunto patto politico-mafioso nel periodo della nascita di Forza Italia.
Le coincidenza più strana legata al dossier presentato da Pisanu all’Antimafia in realtà è un’altra: ventiquattr’ore fa su Repubblica, nelle pagine dedicate al senatore Pdl, compariva un’intervista a Walter Veltroni che anticipava la relazione. Cassandra Veltroni parlava infatti di «un segnale» che il giorno stesso, cioè ieri, sarebbe arrivato dalla «relazione del presidente». A conclusione della seduta della commissione di cui è membro, l’ex segretario del Pd ieri è apparso soddisfatto: Pisanu «ha chiarito che le bombe non furono opera solo della mafia» e ha «fatto giustizia di certe semplificazione dovute a un groviglio di interessi. È l’inizio della discussione». L’opposizione vede insomma questa audizione come una svolta, quasi come una ripicca: le dichiarazioni dell’ex ministro, ha ironizzato Leoluca Orlando dell’Idv, «sono un invito a rinviare i festeggiamenti di quegli esponenti politici contenti per essere stati condannati soltanto a sette anni».
La teoria di un anello di collegamento tra Cosa nostra e Roma però non sembra essere piaciuta al procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. Con un tono che è apparso di leggera polemica ha precisato: «Le teorie sono belle ma, nei processi, servono le prove giudiziarie. Ipotesi costruite su tanti fatti non hanno consentito di trovare una prova penale individualizzante». Pisanu è stato costretto a una risposta istantanea: «La mia era solo un’analisi politica». Un’analisi che ha dato grande energia ad Antonio Di Pietro: «Ora Pisanu dice c’è un collegamento tra mafia e politica. Bisogna buttare fuori dal parlamento chi si è macchiato per questi reati».
Il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl) invita comunque tutti a «non strumentalizzare a fini politici l’intervento del presidente Pisanu, persona moderata e responsabile». E dalla maggioranza ieri sono arrivate parole di elogio: il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri definisce «un faro» l’analisi del presidente dell’Antimafia.
Partendo dal fallito attentato dell’Addaura a Giovanni Falcone, attraverso le bombe di Firenze e Milano, Pisanu ha spiegato come il «fine ultimo delle stragi del ’92-93» fosse quello di «costringere lo Stato ad abolire il 41 bis e a ridimensionare tutte le attività di prevenzione e repressione». Citando poi le testimonianze dell’epoca degli ex ministri Martelli e Mancino, ha detto: «Sono due punti di vista diversi e comunque meno contraddittori di quel che appare, perché entrambi ribadiscono l’estraneità del governo alla trattativa. Ma qualcosa del genere ci fu, e Cosa nostra la accompagnò con inaudite ostentazioni di forza». «Qualcosa del genere» di una «trattativa».

«Rilevanti forzature», ha quindi aggiunto Pisanu, sono poi arrivate dopo la strage di via D’Amelio «ad opera di funzionari della polizia di Stato legati ai servizi segreti». A questo punto «è legittimo chiedersi» se ci fu «un deliberato proposito di depistaggio». Anche ora Cosa nostra, ha avvisato, «non ha certo rinunciato alla politica».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica