Bombardamenti? Il Cav ha indossato l’elmo di Scipio

Caro Granzotto, le scrivo per chiederle il suo parere sulle ultime esternazioni di Berlusconi sul nucleare. Ma certe volte non potrebbe cucirsi la bocca? Lo sa bene che tutto ciò che dice viene dissezionato da questi parlamentari (e non) anatomopatologi a tempo perso! Perché non conta fino a cento prima di parlare? E sul conflitto in Libia, poi, io sto con la Lega. Aveva ragione Schopenhauer, quando diceva: «Le altre parti del mondo hanno le scimmie; l’Europa ha i francesi. La cosa si compensa». E secondo Lei? Un caro saluto e mi perdoni la confidenza, ma a casa nostra leggiamo il Giornale fin dal primo numero negli anni Settanta e ormai per noi siete parte della famiglia.
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Grazie, gentile amica, per volerci considerarci di famiglia. È quanto di meglio possa sperare chi pratica il mestiere di giornalista. Per venire alla sua domanda, capisco che dopo le mattane di Nicolas Sarkozy in Carlà lei apprezzi la franchezza di Schopenhauer, ma questo le dovrebbe far anche lodare la sincerità - virtù rarissima, pressoché inesistente in politica - del nostro Cavaliere che ha ammesso d’aver colto al balzo l’occasione fornitagli dall’incidente di Fukushima (nessun morto, nessun «contaminato») per rinviare lo scontro con l’orda antinuclearista. Proprio mentre è impegnato nella battaglia contro le Procure e la turba manettara e giustizialista. Se questa scelta tattica dà poi fastidio ai «sinceri democratici», beh, ce ne faremo una ragione no? Anche sulla virata bombarola di Berlusconi non c’è molto da aggiungere. Il direttore Alessandro Sallusti spiegò in modo convincente le ragioni per cui il Cavaliere ha voluto cingersi dell’elmo di Scipio, ragioni che possiamo ridurre allo spirito della Crimea, che torna giusto a fagiolo dato che stiamo brindando al centocinquantenario dell’unità. Cioè esserci. Magari per far poco (nel 1856, Cernaia compresa, caddero sul campo 22 piemontesi. Quanto alla Libia, la dozzina di aerei tricolori non colmerà certo il buco lasciato dal ritiro del centinaio di apparecchi americani), però esserci. Per poi sedersi al tavolo della pace, dove si fanno i conti del dare e avere (petrolio, accordi commerciali eccetera) consolidando la sfera di influenza sulla nuova Libia democratica, rispettosa delle libertà e dei diritti umani. E questo è il punto che lascia perplessi. Si danno infatti per scontati due risultati: il primo è che Gheddafi esca di scena - vivo o morto - in quattro e quattr’otto. Il secondo è che il nuovo regime si mostrerà, appunto, democratico e rispettoso delle libertà e dei diritti umani. Beh, finora Gheddafi ha tenuto botta e non ci sono motivi di credere che molli tutt’un tratto. Quanto al nuovo regime, cosa ne sappiamo? Esso è momentaneamente (mi ci gioco un cento euri che a cose fatte gli faranno far fagotto) rappresentato da Mustafà Abdul Jalil, un duro che fino al febbraio scorso amministrava con pugno di ferro e pochi scrupoli la così detta giustizia in nome di Gheddafi. Non presentandosi in tenuta da beduino posso capire che sia piaciuto a Frattini, che predilige l’azzimato.

Ma il nostro Cavaliere? Possibile che quel Mustafà lì l’abbia convinto? Con quella faccia? Mah, incrociamo le dita, gentile amica, fermo restando che la ragion di Stato ha ragioni che la ragione, almeno la mia, non comprende.
Paolo Granzotto

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