Roma - «Nei confronti della proposta sulla settimana corta vedo reazioni inspiegabili, titubanze d’ogni tipo. Non capisco, non capisco davvero».
Eppure, segretario Bonanni, l’obiettivo - mantenere al massimo possibile i lavoratori in azienda, anziché mandarli semplicemente a casa in cassa integrazione - dovrebbe essere condivisibile.
«Io so soltanto che la gente è preoccupata - risponde il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni - perché teme per il salario e per il posto di lavoro, e chiede soluzioni ai problemi, da ricercare con buon senso e consapevoli del momento difficile in cui ci troviamo. Se qualcuno si illude che con le persone preoccupate si possano fare le rivoluzioni, si sbaglia di grosso. A mio avviso, la settimana corta è la soluzione più naturale. Vede, la gente deve mantenere il posto di lavoro e non soltanto attraverso la cassa integrazione, che pure è importante: siamo stati noi della Cisl a chiedere al governo di ampliare gli stanziamenti per gli ammortizzatori. Si possono fare accordi azienda per azienda, gli imprenditori - dalla Marcegaglia in giù - sono disponibili, capiscono i problemi dei dipendenti e non vogliono disperdere le professionalità che ci sono all’interno delle loro aziende. Con l’integrazione delle risorse pubbliche, possiamo creare un clima positivo e prepararci meglio di altri all’uscita dalla crisi».
C’è chi dice, studiosi del lavoro ma anche alcuni imprenditori: ci sono già i contratti di solidarietà.
«E chi li ha inventati i contratti di solidarietà? Noi della Cisl, e quando li proponemmo emersero le stesse perplessità, gli stessi distinguo che vedo oggi. Qui è necessario creare un ambiente positivo, in cui si serrino le fila, e ci sia maggiore responsabilità. Io davvero non vorrei che qualcuno pensasse di trarre vantaggio dai problemi, creando confusione. Spero vivamente d’essere smentito. Ma se così non è, allora non capisco questi bizantinismi. Davanti alle difficoltà bisogna rispondere uniti, è questa la lezione di tutte le crisi precedenti. Non vogliamo che ci siano contrapposizioni sulla pelle delle persone».
Bonanni, non è possibile che qualcuno abbia pensato a una semplice riproposizione del «lavorare meno, lavorare tutti», slogan nato vecchio negli anni Settanta?
«Possiamo fare tutti gli amarcord che vogliamo, ma la realtà è che una contrazione del lavoro ci sarà. Basta dare un’occhiata ai primi dati dell’Istat in proposito, o quelli sugli ordini delle imprese. Né ci saranno straordinari, tanto che abbiamo chiesto noi al governo di non mantenere la detassazione sugli straordinari e riservarla ai premi aziendali. Ma quando le aziende avevano gli ordini, e gli straordinari servivano, li abbiamo fatti. Adesso bisogna mettere in campo una strategia diversa. Le eccezioni non sono utili, i lavoratori non capiranno».
Come bisogna agire, allora?
«Al più presto bisogna definire un impianto, facendo conto anche sulle risorse europee. Bisogna lavorare azienda per azienda: ogni impresa, se e quando necessario, mette in piedi un mix di interventi contando sul sostegno al reddito dei dipendenti da parte dello Stato. Azienda per azienda significa anche maggiore collaborazione e responsabilità condivisa tra imprenditore e lavoratori su come affrontare il momento di difficoltà. Non più contrapposizione sterile, ma condivisione degli obiettivi: è una cosa importante».
A proposito di contrapposizione sterile: in queste ore, il direttivo della Cgil ha dato il via libera a una nuova manifestazione preventiva in marzo, contro la politica economica del governo. Che cosa ne pensa?
«Dal direttivo aspettavamo l’adesione della Cgil al modello contrattuale messo in piedi con gli artigiani. Però il direttivo della Cgil non ha preso in considerazione quell’accordo, come ci era stato annunciato, ma anzi parla di nuove manifestazioni e di una mobilitazione in marzo. Strano davvero: si doveva approvare l’accordo e invece no. Di quello non c’è traccia, ma arrivano nuove manifestazioni. Che cosa devo dire? Qualcuno ha deciso di sostituire con la piazza l’energia necessaria per affrontare e risolvere le questioni, i problemi.
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