Roma - Spirito altrimenti concreto e pacato, alieno per carattere dalle polemiche e per tempra dall’ironia, il ministro Sandro Bondi ha consegnato ieri al Foglio un’esilarante «Lettera di Stato» sull’antropologica predisposizione dell’uomo di spettacolo al «pronismo», inteso come posizione di supina reverenza dell’Artista davanti al Potere. In ogni tempo e in ogni Paese, e in special modo in Italia. Purtroppo. E ovviamente, non essendo l’umorismo la dote più spiccata del docile ministro, non è stato capito. Né dagli artisti, né da Daniele Capezzone: l’hanno preso tutti sul serio. Arrabbiandosi senza ragione i primi, difendendolo senza necessità il secondo.
Sconcertato dalla piega presa dalla Giornata dello Spettacolo celebratasi lunedì al Quirinale, quando il fior fiore del nostro cinema e del nostro teatro si è prostrato davanti al capo dello Stato, riservando invece irrisione e disprezzo verso la sua persona, accusata di non aiutare abbastanza i settori della Cultura e degli Spettacoli, il ministro Sandro Bondi, protagonista di un’inedita rivolta estetica e morale, ha deciso di prendere in mano la penna. E si è messo a scrivere, fuori dal protocollo (forse troppo, infatti è stato frainteso).
E, riportando la propria personale versione dell’augusta Giornata, il ministro ha scritto con levità e ironia dei fasti resistenziali assunti dal solenne evento, ha scritto di metaforiche bandiere rosse, della trepidazione e dell’attesa di una nuova Rivoluzione d’Ottobre da parte di questo manipolo di artisti riverenti e commossi, ha scritto di genuflessioni e inchini, di lodi e proclami.
Davanti al discorso della «compagna» Giovanna Mezzogiorno al presidente Napolitano - «In un momento difficile come quello attuale, lei rappresenta non solo lo Stato ma i suoi fondamenti etici nei quali tutti noi dovremmo sempre riconoscerci»... «In lei si incarna un’azione politica che è figlia non solo del suo ruolo istituzionale, ma dei suoi profondi convincimenti umani e morali»! - il ministro si lancia in una fine esegesi della retorica del «pronismo». E di fronte agli accorati appelli del «compagno» Massimo Ranieri che citando due volte Federico García Lorca chiede disperatamente di salvare la Cultura dallo scempio che le si riserva l’Italia - «Il Paese che non ama il teatro o è morto o è moribondo»... «La cultura costa molto, ma l’incultura costa molto di più»! - Bondi si perde in un sogno a occhi aperti, ripensando al Pasolini delle Ceneri di Gramsci e allo «straccetto rosso... arrotolato al collo dai partigiani».
Ma come? - si chiede il mite Bondi risvegliato dallo scroscio di applausi e ovazioni per i fieri proclami di lotta e di governo degli «artisti di Stato» - io sto facendo di tutto per evitare che la Politica entri nelle scelte dell’Arte e per liberarvi dalla condizione di schiavi del Potere, e voi mi girate le spalle? Io mi batto per la defiscalizzazione nel settore dello spettacolo, per il taglio dei finanziamenti di Stato indiscriminati, per provvedimenti come il tax shelter e il tax credit, per il libero mercato contro l’arte di regime, per leggi che cancellino una volta per tutte la «posa prona», il «servaggio», l’«accattonaggio» dell’artista davanti al politico», io voglio liberarvi e ridarvi dignità, e voi invece cosa fate? Disprezzate chi come me crede nel valore della cultura e cerca di fare qualcosa di concreto a favore dell’arte e preferireste rivolgervi - schiavi e genuflessi - al padrone di turno. «Quasi quasi sono pentito di aver reintegrato il Fondo unico per lo spettacolo», riflette sommessamente Bondi nella sua lettera al Foglio. «A che serve dar loro soldi e ragioni, se ad animarli non è il fuoco dell’arte, ma un pregiudizio politico ostinato?».
Pavlovianamente predisposti all’aggressione e geneticamente sprovvisti di ironia, gli artisti si sono immediatamente rivoltati, mordendo la mano a chi voleva solo liberarli dal guinzaglio del Potere. Nel giro di un paio d’ore Massimo Dapporto ha chiesto le dimissioni del ministro, Remo Girone ha invocato più rispetto per chi lavora nel mondo dello spettacolo, il Segretario generale della Uil-Beni culturali si è detto «sconcertato», l’Associazione per il teatro italiano ha denunciato le turpi «menzogne», Giovanna Melandri ha parlato di delirio di onnipotenza e disprezzo nei confronti di chi produce cultura... E ancora si aspetta la replica di Giovanna Mezzogiorno, impegnata attrice figlia d’arte infastidita dagli abusi di potere che ritrova anche nel suo ambiente di lavoro, dove «si prediligono visibilità, vanità e nepotismo». Nepotismo...
Quando un paio di mesi fa il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta diede dei «parassiti» ai registi che ricevono per un film 40mila euro di finanziamenti quando ne incassano meno di 3mila in tutta la loro carriera, il «culturame» italiano scese in piazza indignato. Ora che il suo più mansueto collega Bondi dà dei «servi» ai nostri artisti, chissà che cosa succederà. Eppure, quello del ministro è solo un legittimo sogno: tagliare il guinzaglio che da sempre lega il mondo dello spettacolo alla vecchia ma ormai fallimentare logica dell’aiuto di Stato.
Liberando una volta per tutte il servo di scena accucciato dietro le quinte.Niente da fare. Fedele al ruolo che impone una lunga e gloriosa tradizione nazionale, Arlecchino gode e si diverte a servire due padroni. O, alla bisogna, anche uno solo.
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