La bonifica nella bufera a Milano? Autorizzata da Pecoraro Scanio

I pm che indagano su Santa Giulia ricostruiscono anche il caso di Pioltello: fu il ministro verde il primo a quantificare una cifra enorme per ripulire i terreni

Milano Il decreto porta la data del 10 gennaio 2007. Carta intestata: «Il ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio». Firma: Alfonso Pecoraro Scanio, all’epoca leader dei Verdi e ministro nel governo Prodi 2.
È da questo documento che bisogna partire se si vuole capire quanto trasversale sia l’impatto che l’inchiesta della Procura di Milano sul business delle bonifiche truccate può avere sul mondo della politica. Perché se è vero che nel mirino immediato dei pm milanesi ci sono uomini del centro destra - primo fra tutti Giancarlo Abelli, deputato del Pdl, che in alcune intercettazioni viene indicato come «il Faraone», e la cui moglie Rosanna Gariboldi è finita in carcere assieme all’imprenditore Giuseppe Grossi - è altrettanto vero che il via libera all’operazione più ghiotta di tutte venne, due anni e mezzo fa, da Pecoraro Scanio.
È il ministro verde il primo a quantificare in una cifra gigantesca - centoventi milioni di euro - il costo per ripulire i vecchi terreni della Sisas di Pioltello, una fabbrica chimica finita anch’essa nel portafoglio di Luigi Zunino, il re del mattone oggi sull’orlo del crac.
Le due grandi opere al centro dell’inchiesta hanno storie parallele. Sono le storie di due vecchie fabbriche chimiche, chiuse dopo avere impestato in profondità il terreno: la Montedison di Rogoredo, periferia sud di Milano, e la Sisas di Pioltello, hinterland Est del capoluogo lombardo. In entrambi i casi, i terreni sono finiti in mano a Zunino, e in entrambi i casi a gestire lo smaltimento dei terreni inquinati è arrivato Grossi, forte dei suoi poderosi legami con il mondo politico lombardo.
I costi delle operazioni sono stati gonfiati a dismisura in entrambi i casi. Ma mentre a Rogoredo - dove ora sta sorgendo il nuovo quartiere di Santa Giulia - a rimetterci è stato un privato (cioè Edison, la vecchia proprietaria dell’area) a Pioltello i soldi li ha messi lo Stato. A deciderlo è, ancora una volta, Pecoraro Scanio. Che dopo avere quantificato, a gennaio 2007, in 120 milioni, il costo della bonifica, a dicembre dello stesso anno firma l’accordo di programma che scarica in buona parte sulla collettività il costo dell’operazione.
Non è l’unico indizio di «trasversalità» del business delle bonifiche ambientali. Sia a Santa Giulia sia a Pioltello compare, anche se in ruoli diversi, lo stesso superesperto: è Claudio Tedesi, che in provincia di Pavia - nel regno di Abelli - ricopre cariche a ripetizione nelle municipalizzate che si occupano di ambiente, ma è anche l’uomo di fiducia di Michele Emiliano, sindaco di Bari, e del governatore pugliese Nichi Vendola per la ripulitura della Fibronit, una vecchia azienda infestata dall’amianto.
È Tedesi l’uomo chiave delle operazioni milanesi realizzate dalla coppia Zunino-Grossi. Ma se adesso gli si chiede se non si sia mai accorto che il costo delle operazioni fosse gonfiato, Tedesi dice sibillinamente: «Ho già risposto a chi di dovere», e aggiunge che «da Santa Giulia i carichi di terra da smaltire viaggiavano verso la Germania con le bolle doganali». Come dire: il peso era quello vero. Peccato che il trucco di Grossi non fosse quello di gonfiare il peso, ma di pagare lo smaltimento il 50 per cento in più. Facendosi ridare sottobanco i soldi pagati in eccesso, e girando poi una quota a Zunino.
Di queste acrobazie contabili, Grossi - nel suo interrogatorio di ieri nel carcere di San Vittore - si è ribadito reo confesso, sostenendo però di avere sanato le irregolarità fiscali con il cosiddetto «ravvedimento operoso». Ma il problema non è più, a questo punto dell’inchiesta, un problema fiscale: il tema vera dell’indagine è l’utilizzo che Grossi ha fatto dei fondi neri creati con i suoi trucchi contabili, e che la Procura è convinta siano stati usati anche per corrompere amministratori e politici.

Come i milioni di euro girati nel corso di sette anni sul conto cifrato di Rosanna Gariboldi, la moglie di Abelli. Anche di quei soldi, ieri, Grossi ha dato una spiegazione ai giudici. Solo nei prossimi giorni si capirà se ha saputo essere convincente.

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