La bonifica della rete idrica per il Policlinico che fa acqua

Le opere di ristrutturazione del Policlinico Umberto I, definite da istituzioni e politica ormai inderogabili, passano la mano alle «misure tampone» che alla lunga potrebbero non supplire alle necessità dell’ospedale. Una di queste misure è l’intervento straordinario di bonifica alla rete idrica che periodicamente si sta svolgendo ormai da gennaio, ossia da quando sono emersi due casi di legionella e al quale si va a sommare il rinvenimento, la scorsa settimana, del batterio della legionella pneumophila nelle tubature idriche delle camere operatorie del Dea.
Già, la misura precauzionale altro non è che la cosiddetta iperclorazione shock che però «a lungo andare potrebbe manifestarsi lesiva per le tubature ormai antiquate e parecchio datate, vale a dire - spiegano dal Servizio di igiene pubblica dell’Asl Roma A, competente per territorio - che c’è una stringente necessità di avviare dei lavori di rifacimento sulle tubature o strutturare una rete parallela». Per ottemperare alle disposizioni l’azienda ha deciso di innestare appositi filtri cosiddetti assoluti che sterilizzano l’acqua e danno un’immediata sicurezza. A lungo andare però quei filtri andranno cambiati e controllati altrimenti ci si deve affidare a altre misure sempre funzionali per un periodo comunque circoscritto». Altro rimedio messo in atto già dal 26 gennaio (come recita un’apposita circolare siglata dal direttore del Dipartimento medico ospedaliero dell’Umberto I) è quello di fornire a pazienti, operatori sanitari e quindi a tutti i reparti interessati dal rinvenimento dell’agente patogeno bottigliette di acqua oligominerale: 1 litro al giorno a chi è ricoverato, mezzo litro a chi è in regime di day hospital e 5 litri per ogni ambulatorio. Inoltre, come ulteriore tentativo di dissuasione dall’utilizzare l’acqua del rubinetto su alcuni lavandini è stato posto in bella mostra un cartellino con la scritta «acqua non potabile». Cartellino che farà certo il bello e il cattivo tempo visto che le norme in fatto di sicurezza nelle strutture sanitarie impongono che il prezioso liquido sia potabile a tutti gli effetti. Le difficoltà sarebbero forse economiche? Chissà. Intanto la giunta Marrazzo, anche dopo il rinvenimento dell’agente patogeno nelle camere operatorie del nosocomio universitario, ha continuato a sottolineare la necessità di partire con i lavori del piano ipogeo: proposito avallato da uno stanziamento di 28 milioni di euro. Curioso però che la stessa giunta non sappia che il piano ipogeo poco ha a che fare con il Dea. Ma tant’è. Considerazioni peraltro che fanno comprendere anche la natura dell’allarme legionella che si è andato diffondendo tra il personale sanitario e che vanno pure a giustificare ulteriori impegni di spesa decisi dallo stesso general manager Ubaldo Montaguti. Uno di questi è l’appalto della fornitura di materiale idraulico e edilizio per un impegno di spesa di 96mila euro alla ditta di Mario Forconi. L’altro il prosieguo del contratto di manutenzione, conduzione e pronto intervento degli impianti di acqua «ultrapura» per dialisi, emodialisi e per uso medicale stipulato con la Tecnhodal per 81mila euro.

Ed è proprio su questa fornitura che sorge un quesito spontaneo che può riassumersi nella curiosità di capire perché mai quell’acqua ultrapura non venga utilizzata anche nelle sale operatorie proprio per uso medicale superando ogni eventualità di rischio e di contagio da legionella.

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