«Booker Prize», spazio agli outsider (e alle donne)

da Londra
Scrittori alle prime armi, i sei finalisti nominati quest’anno per il più prestigioso alloro letterario britannico, il «Man Booker Prize» per la narrativa inglese e dei Paesi del Commonwealth. Escluso David Mitchell con il suo romanzo Black Swan Green e spente le speranze dell’australiano Peter Carey di vincere il premio per la terza volta con Theft, la giuria ha messo da parte anche altri due illustri ex-vincitori: Nadine Gordimer e Barry Unsworth, il cui romanzo The Ruby in the Navel, su amicizia e tensioni fra cristiani e musulmani nella Sicilia medievale, era dato per vincente. Invece, spazio a «giovani talenti poco noti» quasi agli esordi, selezionati da una lista di 112 romanzi. Una scelta più coraggiosa che perversa, hanno dichiarato i giurati, alla ricerca di «voci originali e distinte» e di «ardita immaginazione». Una scelta che ha ribaltato i pronostici scatenando sorpresa e confusione, ma ha anche creato un’atmosfera di eccitata aspettativa sul mercato librario e fra i critici.
Due nomi comunque sono già un po’ noti fra i contendenti del premio di 50mila sterline che verrà assegnato il 10 ottobre. Sarah Waters si era fatta conoscere con due storie vittoriane di amori saffici e ora con The Night Watch (Virago) propone un romanzo storico ambientato nel 1946, la vicenda di tre donne gay che dopo il ruolo svolto nei soccorsi durante il blitz di Londra rifiutano il ritorno agli schemi quotidiani. The secret River (Canongate) dell’australiana Kate Grenville, già vincitrice dell’Orange Fiction Prize nel 2001 con The Ideal Perfection, è un romanzo sull’innesto di una cultura in un’altra, nel caso specifico di quella inglese in quella australiana, e il conflitto che ne deriva.
Avvincente e commovente è stata giudicata la storia raccontata dall’irlandese M.J. Hyland in Carry me down (Canongate): un bambino ha il dono o la disgrazia di scoprire subito quando qualcuno mente e sviluppa una funesta ossessione per la verità. I traumi subiti nell’infanzia sono alla base del romanzo di Edward St. Aubyn Mother’s Milk (Picador), fra i primi tre favoriti. Scrittore aristocratico di nascita, St. Aubyn è stato violentato dal padre da piccolo superando il trauma nonostante la discesa nel mondo della droga. Qui racconta la vicenda di una famiglia upper class che si fa a pezzi mentre cerca di restare unita. Sull’infanzia ferita è pure l’autobiografico In the Country of Men (Viking), primo romanzo di Hisham Matar, oriundo libico ora britannico. Ambientato a Tripoli nel 1979, racconta attraverso gli occhi di un bambino la vita nella Libia di Gheddafi, e il rapimento e la sparizione del padre dissidente. «Pagine in cui si sentono le voci, si vedono le ombre» dice la giuria.


Resta il romanzo di Kiran Desai, figlia della nota scrittrice anglo-indiana Anita Desai, The Inheritance of Loss (Hamish Hamilton), in cui sono intrecciate con sapienza tre storie fra l’India del Nord, l’Inghilterra degli anni Quaranta e l’emigrazione a New York negli anni Ottanta.

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