Massimo Restelli
da Milano
Un occhio rivolto ai guadagni trainati dal greggio, laltro attento allexport verso Usa e Asia. È combinando questi due elementi che le grandi imprese italiane, pur deboli dal punto di vista finanziario per la zavorra dei debiti, hanno macinato utili nel 2004 malgrado uneconomia europea ancora con il singhiozzo. La diagnosi è firmata da R&S, lufficio studi di Mediobanca che come ogni anno (siamo alla trentesima edizione) ha passato in rassegna i bilanci dei primi 50 gruppi nazionali quotati: 35 industriali, 10 bancari e 5 assicurativi. Un volume da 1.300 pagine (al debutto Edison e Impregilo) nel quale gli esperti di Mediobanca evidenziano come i privati abbiano rialzato la testa rispetto al pubblico con profitti in crescita del 65% (dal 22,2% al 27,4% del totale). Nel complesso del settore industriale gli utili netti aggregati sono aumentati del 32,3% poco sopra i 14 miliardi a fronte di un fatturato in progresso del 9,5% a 267,7 miliardi. A fare la parte del leone continuano a essere gli ex monopolisti: a partire da Eni che ha macinato più della metà (52%) degli utili generati dagli altri gruppi analizzati (7,2 miliardi; 5,5 nel 2003). Seguono Enel (2,7 miliardi) e Telecom (con profitti scesi a 781 milioni) per un «peso» complessivo del 76,7% (86% nel 2003). Sette i gruppi in perdita: la peggiore è stata ancora Alitalia che ha tinto di rosso i propri bilanci per 813 milioni (520 milioni lanno prima). Quella con maggiore capacità di profitto è Snam mentre Tim è quella che ha meglio investito. Utili che il mondo industriale ha poi riversato a valle con dividendi per 34,9 miliardi nel 2001-2004, di cui gran parte del settore energetico (Eni-Enel) e di Telecom Italia.
Società a parte, il volume curato da Fulvio Coltorti dimostra che ad accelerare la corsa sono stati i privati (la redditività è salita del 65,1% a 3,85 miliardi) rispetto a un progresso del 22,9% per il pubblico che svetta però sul fronte dimensionale (10,18 miliardi). Diversa la fotografia relativa allincidenza del risultato netto sul fatturato che vede i privati «inchiodati» al 2,5% (9% il pubblico) malgrado un rimbalzo totale del 56,2%.
Ad aumentare i contrasti è soprattutto unindustria ancora fragile dal punto di vista finanziario. Il miglioramento del patrimonio netto (più 1,4%) e la riduzione dei debiti (meno 4,6%) passano infatti in secondo piano quando si scorrono i dati aggregati. Dove un capitale netto fermo all82,5% dei debiti denuncia tutto lo sforzo ancora da compiere per arrivare allobiettivo della parità.
Un fardello notevole anche se le imprese evitano lavvitamento grazie al basso costo del denaro e rispolverando lattrazione per i prestiti obbligazionari (61,9% sul totale rispetto al 53,4% del 2003). Leffetto è quello di spalmare i debiti, tanto che il 75% del totale è a medio-lungo termine.
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