Politica

Bordon vuole blindare il vertice per mettere fuori gioco i rutelliani

Serrate critiche al capogruppo al Senato: gestisce la Margherita in modo troppo personalistico

Laura Cesaretti

da Roma

Mentre Romano Prodi veleggia verso le primarie, forte dell’armistizio siglato con Francesco Rutelli, gli ex prodiani della Margherita continuano a combattere nelle retrovie come giapponesi nella giungla. Al sogno ulivista della «lista Prodi» hanno dovuto rinunciare, causa ripensamento del diretto interessato, ma le loro postazioni non intendono abbandonarle. E così il più bellicoso di loro, il capogruppo al Senato Willer Bordon, ha deciso di non darla vinta al nemico rutelliano, e di combattere fino in fondo.
Sotto assedio non è la sua poltrona, anche se l’altra notte nell’assemblea del gruppo il senatore Lamberto Dini gli ha fatto presente che «per correttezza» Bordon avrebbe dovuto presentare le proprie dimissioni, visto che la maggioranza dei senatori ne hanno criticato aspramente la gestione. Il vero oggetto del contendere sono gli altri posti della dirigenza del gruppo, quasi tutti in mano alla minoranza prodiana, e per i quali i rutellian-mariniani chiedono un «riequilibrio». Bordon li ha però sfidati: «L’accordo sancito nella direzione della Margherita prevede che gli attuali organismi non vengano toccati, ma se voi volete ridiscuterlo non avete che da presentare una mozione di sfiducia verso l’intera presidenza del gruppo». Il presidente dei senatori sa bene che Rutelli e Marini non hanno alcuna intenzione di sottrargli la poltrona, mettendo a rischio l’armistizio e drammatizzando lo scontro interno, ma puntano ad un commissariamento indolore inserendo nella presidenza uomini di loro fiducia. E dunque si mette di traverso: «O salta tutta la presidenza del gruppo, o non salta nessuno». Alla fine si è deciso di affidare al medesimo Bordon la trattativa sui posti, che andrà conclusa nei prossimi quindici giorni: «Tenterò una mediazione, ma non vorrei creare illusioni», dice lui. La sua ostinazione ha irritato assai Nicola Mancino: l’ex presidente del Senato non si è finora schierato nella battaglia interna, ma non risparmia critiche a Bordon: «Un gruppo non può essere gestito in modo così personalistico. Qui la minoranza va oltre a quanto stabilito, pensano di poter essere irremovibili e immodificabili». Mentre la battaglia infuria nella ridotta nipponica di Palazzo Madama, Prodi si occupa di primarie. L’intricata matassa delle regole sarà lunedì sul tavolo del vertice dell’Unione. La «cornice» del regolamento già c’è, assicura Arturo Parisi che ne ha steso la bozza, e ieri il Professore ha inviato a tutti i segretari una lettera nella quale li invita ad avanzare proposte e modifiche, e chiede di chiudere entro luglio la corsa alle candidature. Per quella data, assicurano Ds e prodiani, si saprà anche come le primarie verranno organizzate: chi potrà partecipare, dove si voterà (nelle sezioni di partito, come pensa la Quercia, o nei gazebo in tutte le piazze d’Italia, come piacerebbe a Prodi), chi controllerà il voto, e (last but not least) quanto investire. «Se spendiamo a ottobre per far votare nei gazebo un milione di persone, ad aprile la campagna elettorale vera con che soldi la facciamo?», si chiede il ds Nigra. E il fantasioso rutelliano Giachetti propone «manifesti double-face: da un lato scriviamo “vota Prodi alle primarie”, dall’altro “vota Prodi alle elezioni.

Vere”».

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