Bornacin azzarda il nome di Musso. E la sala si ribella

Bornacin azzarda il nome di Musso. E la sala si ribella

(...) Per chi ha partecipato fino all’ultimo, ben oltre la mezzanotte, e poi se n’è andato chiedendo quando si sarebbe fatto il prossimo incontro. Per chi ha rinunciato persino a vedere la partita della squadra del cuore. Come il Milan per Clavarino. «Mai successo in vita mia».
Savignone quindi e la riunione di famiglia. Del «Giornale», s’intende. Il caporedattore Massimiliano Lussana introduce, rompe il ghiaccio, lancia uno, due, tre spunti per aprire il dibattito con i lettori che sono presenti lì in sala. «Un’impresa eroica per i genovesi essere così tanti». E lo è davvero. Lo dice anche Simonetta Caprile, titolare dell’hotel Palazzo Fieschi che ha messo a disposizione la location, come si dice in gergo per gli appuntamenti importanti. «Qui le porte sono sempre aperte», promette lei che mette da parte l’emozione e inizia a parlare dei problemi dell’entroterra e della dispersione di forze ed energie che è «il male della Liguria», in ogni settore e in ogni contesto. Gli interventi vanno avanti, niente lista ufficiale. Nessuna prenotazione. Si segue un ordine che è istintivo e di cuore. Marco Marchionni, l’ideatore del Pensatoio, Gian Luca Fois, Luciano Ardoino, Enrico Cimaschi. Il discorso scivola nella politica, per forza di cose e perché lo impone la condizione attuale. Non se ne può fare a meno. «Parlare di passione oggi per la politica è difficilissimo, perché è tutto tranne che passione. La situazione è drammatica», dice Fois. «La gente non si occupa della politica perché la politica non si occupa dei loro problemi», incalza Cimaschi.
Si parla delle prossime elezioni comunali 2012 che mordono sul calendario come non mai. Della necessità di trovare un candidato credibile per il centrodestra, forte, giovane e che sia espressione di quella corrente politica. Con una presa di posizione netta senza balletti e ammiccamenti ad altre fazioni. Ecco il punto: ci vuole una classe dirigente nuova, ci vuole un progetto per Genova, ci vogliono dei giovani. E per giovani non s’intende gente di 40 o 50 anni, ma trentenni. «Ma li avete visti gli altri? Loro sono pieni di ragazzi, altro che noi». Tradotto, gli altri sono la sinistra, il Pd, le Vincenzi, le Pinotti e tutti i possibili candidati alla guida della Superba. In sala c’è anche una rappresentanza della classe dirigente politica locale. Matteo Rosso, Gianni Plinio, Aldo Siri, Lorenzo Pellerano e il senatore Giorgio Bornacin.
«La soluzione è una: rimbocchiamoci le maniche e smettiamola di guardare al passato» si scalda Andrea Cambiaso. Bene che i politici liguri rispondano alle nostre e-mail. Ma non basta, ci vuole qualcosa di più. Una maggior organizzazione. «Devono essere i politici a chiamarci e a dirci che hanno bisogno di idee». Bornacin si alza, si sente chiamato in causa e chiede la parola per rispondere. Parte da lontano, dalle sue prime battaglie politiche per difendere un professore dai maoisti che volevano impedirgli di fare lezione. Poi si scatena: contro chi attacca i parlamentari sugli organi di stampa per il mancato taglio dei costi della politica. «C’è un tentativo di delegittimarci. C’è un progetto politico per far saltare la democrazia in questo Paese». Se la prende con le pensioni d’oro, contro i poteri forti, gli imprenditori che vorrebbero far politica senza averne le competenze. E improvvisamente la riunione di famiglia si trasforma quasi in un comizio torrenziale. Quindi la provocazione: «Il discorso su Enrico Musso per le comunali non è chiuso». La sala scalpita, freme. «Musso? Il discorso non è chiuso, è sepolto» urlano dalle retrovie. «Emmo za dæto» sbotta un altro. «E no, Musso no. Uno che un giorno fa il berlusconiano e il giorno dopo è pronto a cambiar casacca. Questo è troppo» mormora il pubblico. La reazione è unica, di pancia, sentita e corale. Matteo Rosso si alza e se ne va verso l’uscita, seguito da Aldo Siri. Gianni Plinio lo ferma e lo convince a tornare al suo posto. Ma Musso, proprio non gli va giù, nemmeno a lui. Bornacin prova a fare un passo indietro, corregge il tiro. «Faremo in modo che sia lui ad appoggiare un candidato diverso da lui con la lista Oltremare».


Poi, come spesso accade, tocca al più saggio del gruppo riportare la pace. Il signor Navone da Milano si alza in piedi e tra i mugugni si avvicina al tavolo per prendere il microfono. «Dovete essere uniti per vincere, ecco il segreto». Uniti, come una famiglia.

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