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Deflazione, export ed economia in affanno: cosa rischia la Cina (e l'Italia)

A Pechino si parla ormai di deflazione e le conseguenze possono investire anche l’Italia. L’economia cinese è in un circolo vizioso, il governo dovrebbe tutelare di più la proprietà privata e questo cozza contro le linee del partito. I dati di luglio rivelano nervi scoperti

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L’economia cinese è in deflazione per la prima volta dopo oltre due anni. L'economia del Dragone paga lo scotto del calo dei consumi interni che stentano a ripartire e che affossano la ripresa economia.

I dati dell’Ufficio nazionale di statistica rilasciati l'8 agosto sono lapidari: a luglio l’import è calato del 12,4% e l’export ha fatto segnare il -14,5% rispetto allo stesso mese del 2022. L’indice dei prezzi al consumo è sceso dello 0,3% e, per il decimo mese consecutivo, l’indice dei prezzi alla produzione si è ulteriormente compresso (-4,4%).

Una frenata brusca, non del tutto inattesa e che disegna un mondo a due facce: le economie occidentali combattono l’inflazione, la Cina è confrontata con la deflazione, ossia il problema opposto. Tutto ciò avrà ripercussioni anche sull’Italia che trova nella Repubblica popolare il primo partner commerciale nell’Est.

L’economia cinese

Il primo trimestre del 2023 è stato caratterizzato dal segno più, perché l’economia cinese è salita in sella dopo la fine delle restrizioni imposte dal Covid. Ora i consumi di privati e imprese sono in discesa libera così come lo è il mercato immobiliare e, in aggiunta, il crollo dell’export impedisce una compensazione con i numeri dei minori consumi interni. L’economia cinese è nel pieno di un circolo vizioso. I consumatori attendono che i prezzi scendano ulteriormente e questo affossa la produzione con ricadute negative sull’impiego.

Ad azzoppare l’economia di Pechino ci sono anche motivi legati alle difficoltà con cui sono confrontate le filiere logistiche e commerciali mondiali. Intervistato da Adnkronos, il sinologo Francesco Scisci, ha evidenziato anche le ragioni che zavorrano l’economia: “La domanda interna non riparte perché è crollato il driver immobiliare, che per 25 anni ha trainato tutta la crescita e ancor oggi probabilmente occupa il 60% dei crediti bancari. E c’è sfiducia generalizzata di investitori e consumatori dopo tre anni di chiusura per il Covid”. Inoltre, continua Scisci: “L’impatto della campagna contro la corruzione che ha eliminato un vecchio modo di fare affari senza però crearne uno nuovo”.

Un cane che si morde la coda e che richiederebbe un intervento massiccio del governo per coadiuvare e proteggere le iniziative dei privati, andando così nella direzione contraria a quella imboccata dalle linee programmatiche del segretario generale del Partito comunista e presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping.

Le ricadute sull’Italia

Guardando il passato recente, siamo ad agosto del 2021, i rapporti commerciali tra Italia e Cina erano floridi, con crescite a doppia cifra e, stringendo ancora più il raggio temporale, si arriva ai primi mesi di questo 2023 quando l’export italiano verso Pechino era ancora florido ma in modo inspiegabile, così come riportava il Sole 24 Ore nel commentare i numeri in crescita senza riuscire a comprenderne il perché.

Tornando a oggi, alcuni economisti sono propensi a credere che quella cinese sia una deflazione temporanea e che verrà corretta grazie agli interventi con cui il governo garantirà sostegno monetario e fiscale che, però, costringe Pechino a tenere sott’occhio il debito.

Quello che rischia l’economia italiana se la situazione deflazionistica cinese non dovesse risolversi è illustrato dal valore degli scambi commerciali tra Roma e Pechino, censiti dall’Osservatorio economico del ministero degli Affari esteri. Numeri che mostrano un forte disequilibrio: Roma invia a Pechino merci per 16,4 miliardi di euro (dato 2022) e sulla rotta inversa ne transitano per 57,5 miliardi. Materie prime e semilavorati che vengono trasformati dall’industria italiana oppure venduti in Italia e che, seguendo il calo della produzione in Cina, diventeranno meno disponibili e più costosi, causando un freno (possibile ma non ancora misurato) alla produzione interna italiana.

Se si considera poi che ci sono settori dell’economia nazionale come, per esempio, quello dei prodotti chimici e quello dell’abbigliamento che fanno forte riferimento all’export verso la Cina, si configura un ulteriore rallentamento, reso ancora pesante dalla produzione italiana che vive di scorte cinesi e che fa di Pechino un mercato di riferimento per la vendita dei prodotti finiti.

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