Le Borse affondate dalla paura-recessione

Gli investitori si aggrappano alla speranza di un taglio dei tassi dello 0,75% in Usa

Le Borse affondate dalla paura-recessione

da Milano

Adesso, nella ricerca disperata di un sostegno, i mercati si aggrappano all’ipotesi di un taglio da tre quarti di punto dei tassi americani. È però un appiglio poco sicuro e scivoloso come un ramo che spunta dalla roccia. Gli stessi mercati, infatti, non sembrano fidarsi: lo dimostra la caduta di ieri degli indici, costata all’Europa 100 miliardi di euro a causa di ribassi attorno all’1,5% (un po’ meglio Milano, giù dell’1,34%) e un forte calo a Wall Street (meno 2,51% il Dow Jones, meno 2,58% il Nasdaq). Quanto all’euro, anche a fine settimana non ha mancato l’appuntamento con il record, toccando quota 1,5239 dollari, mentre i Btp pagano la minor affidabilità dell’Italia rispetto alla Germania con l’allargamento della forbice rispetto ai Bund (44 punti).
Nelle Borse non si è ancora spenta l’eco delle parole pronunciate giovedì scorso da Ben Bernanke davanti al Congresso. In particolare, i passaggi dell’intervento in cui il timoniere della Fed ha ammesso difficoltà nella conduzione della politica monetaria perfino superiori a quelli incontrate nel 2001 da Greenspan e dichiarato di aspettarsi il fallimento di alcune banche, le più colpite dal virus subprime. Ma anche senza evocare lo spettro della bancarotta, bastano le stime di Ubs sulle svalutazioni ad agitare il sonno degli investitori. L’istituto elvetico ha quantificato in 600 miliardi di dollari i write off che le società finanziarie iscriveranno a bilancio. Un fiume di denaro, destinato ad appesantire i conti e a incidere sul monte-dividendi. E sono anche molti, forse troppi, i quattrini necessari per allontanare Ambac dal capolinea: il salvataggio da parte di un pool di banche sembra complicarsi proprio a causa dell’ingente sforzo finanziario richiesto. Ancora: un altro gigante delle assicurazioni sui bond come Mbia, dopo aver annunciato ulteriori svalutazioni, potrebbe tornare a battere cassa (nel 2007 con un aumento di capitale erano stati rastrellati 2,5 miliardi) per mantenere la tripla A nel rating. Se il fronte societario offre pochi motivi di sollievo alle Borse, quello macroeconomico è ancor più sconfortante. In febbraio, la fiducia dei consumatori americani è collassata al minimo degli ultimi 16 anni (da 78,4 a 70,8 punti), un chiaro segno di malessere non alleviato neppure dal bonus fiscale in arrivo. Le spese personali, al netto dell’inflazione, sono infatti rimaste piatte il mese scorso. Bernanke ha già parlato di ripercussioni sui consumi privati, ma il peggio, probabilmente, deve ancora arrivare. Soprattutto se i prezzi del petrolio si manterranno stabilmente attorno ai 100 dollari il barile (103 dollari ieri, nuovo primato). La recessione, evitata nel quarto trimestre 2007 grazie al mini-dollaro, potrebbe essere inevitabile. Soffre infatti la finanza, soffrono le famiglie, e anche il settore manifatturiero continua a perdere colpi. L’attività economica di un’area-chiave come quella di New York è da due mesi sotto i 50 punti, la linea che separa la crescita dalla contrazione. George W. Bush continua a dispensare ottimismo sulla tenuta dell’America, ma il quadro congiunturale si offusca giorno dopo giorno e resta da verificare l’efficacia dell’azione della Fed. Bernanke taglierà sicuramente i tassi il prossimo 18 marzo, probabilmente di mezzo punto.


La sforbiciata dello 0,75% ipotizzata dai mercati indicherebbe una situazione di grande emergenza e incoraggerebbe gli investitori, sicuri di poter contare sulla protezione della banca centrale, ad assumersi rischi eccessivi. Il moral hazard di «greenspaniana» memoria.

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